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07
febbraio 2014
Ritratto del curatore da giovane
rubrica curatori
Dedichiamo questo appuntamento a Paolo Rosso, giovane curatore che da tempo lavora in laguna. Poco amante dei ‘riflettori’, Paolo porta avanti un lavoro molto accurato e selezionato che sembra finalizzato alla costruzione di un rapporto intimo con i fruitori dei suoi progetti. Insomma, poca comunicazione, ma tanta attenzione al “valore reale” di un evento. E voi cosa ne pensate?
di Manuela Valentini
di Manuela Valentini
Paolo, puoi presentarti?
«Sono cresciuto a Pavia, ho 28 anni, vivo e lavoro a Venezia».
Quale la tua formazione?
«In ultimo ho frequentato il corso di laurea magistrale di Storia dell’Arte e Beni Culturali presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia».
Quanto contano le pubbliche relazioni nel tuo lavoro? E viaggiare per fiere e mostre? Come fai a conciliare le tue trasferte con uno stipendio che immagino non sia troppo alto? (almeno da ciò che mi hanno raccontato gli altri curatori).
«Nessuno può contestare l’importanza delle pubbliche relazioni che personalmente vivo in termini di relazioni personali. Non c’è niente di meglio di una relazione approfondita con un’altra persona, in quanto dalla reciproca conoscenza spesso nasce una sinergia fruttuosa. Venezia in questo innesca meccanismi magnifici, gli artisti arrivano, sono completamente disorientati dall’atmosfera irreale e da ciò può nascere un dialogo libero, appassionato e utopico. Come si dice, le idee migliori vengono durante una bella cena e davanti ad un bicchiere di vino. Venezia fa lo stesso effetto della cena migliore. Inoltre Venezia mi consente di conoscere non solo le persone più interessanti e riconosciute nel panorama mondiale, ma anche i giovani che qui vivono e lavorano. A livello comunicativo il mio approccio è stato in parte autodistruttivo perché mi sono schierato contro la tendenza diffusa che punta l’attenzione all’ufficio stampa, trascurando il valore reale che un evento può rappresentare per le persone coinvolte. Probabilmente vivere a Venezia ha accentuato questo mio limite. Il mio progetto Microclima, realizzato presso la Serra dei Giardini della Biennale, è comunicato scarsamente a livello mediatico, solo chi vive a Venezia ne conosce a pieno la programmazione. Sicuramente in un futuro riuscirò a trovare una posizione franca e realistica, che per lo meno non mi conduca all’autosabotaggio. Per me viaggiare è importante, ma non solo per vedere mostre di arte contemporanea o fiere, anzi, i meccanismi feroci visibili in queste ultime mettono alla prova l’approccio in parte idealista che chiunque voglia produrre arte dovrebbe avere. L’importante è coniugare ogni nuova esperienza con gli stimoli derivanti dalle idee e dal lascito culturale che possediamo, e cercare poi di produrre qualcosa di nuovo e inaspettato. Pagare i viaggi non è così semplice, ho fatto il portiere di notte fino a qualche mese fa e tuttora mi mantengo con lavori precari. Anche se la pratica di alcuni dei curatori più importanti comprende il viaggiare incessantemente, un aspirante creatore di situazioni culturali non deve (ammesso che lo possa) vivere come un businessman. Credo nei viaggi di lunga durata. L’uomo ha bisogno di tempo per conoscere e rispettare i luoghi che visita, altrimenti tutto è superficiale».
Cosa ne pensi della separazione che negli anni si è venuta a creare tra la figura del critico d’arte e del curatore? In quale di queste due figure ti riconosci di più?
«Io mi sento sicuramente più curatore, anche se sinora lo sono stato raramente. Forse mi avvicino di più ad un art producer, nel senso che richiedo agli artisti progetti specifici nei quali cerco di essere presente dando stimoli come meglio riesco, in modo tale da creare qualcosa di nuovo e unico. Mi sono avvicinato all’arte in modo esperienziale, visitando chiese, castelli, musei e produzioni umane varie e ricavando da ciò frammenti del mondo umano che creano attraverso il mio senso critico un mio stesso posizionamento. Poiché sono molto spaventato dalla critica, dalla retorica e dalle limitazioni che ogni visione aggiunge all’esperienza, quando scrivo cerco di limitarmi a strutturare coordinate che possano far capire concretamente le intenzioni. Cerco di immaginare un ambiente rispetto a come verrà percepito di per sé, aldilà delle speculazioni teoriche».
Di che cosa ti stai occupando al momento e che progetti hai per il futuro?
«Durante la scorsa estate ho passato momenti complessi, la Biennale accentua le contraddizioni presenti in ogni attività lavorativa. Inizialmente ho dovuto prendere una decisione rispetto al padiglione ufficiale delle Maldive, su cui puntavo molto, allontanandolo dalla Serra e riattivando poi un padiglione non ufficiale chiamato The Maldives Exodus Caravan Show. Successivamente ho collaborato col Museum of Everything, opera del luciferino quanto capace James Brett. Da lui ho imparato molto, ha una marcia in più, ma mi sono sentito schiacciato dal meccanismo. L’unica attività “curatoriale” che ho svolto in questo caso è stata quella di invitare alla serie di talk “Salon of everything” Vito Acconci, che ha portato una forza umana ed espressiva di grande spessore. Mi sono poi preso qualche mese per riflettere seguendo il consiglio di un amico artista con una esperienza internazionale di più di quattro decadi: “Se vuoi nuotare ora in un mare di squali ti mangeranno, ti toglieranno tutta la passione che hai, ricomincia da ciò che ami”. Ho deciso che nel prossimo futuro lavorerò al progetto che più mi ha stimolato nell’ultimo anno: la residenza in collaborazione con i miei amici Desire Machine Collective ed il loro progetto Periferry a Guwahati, India. Lo scorso anno ho portato tre giovani artisti (Alessandra Messali, Martino Genchi e Mario Ciaramitaro) e ciò che ho amato è stato vederli messi alla prova da un contesto straniante, eccitante ed allo stesso tempo scioccante. Che processo puoi innescare in una città di un milione di abitanti in cui nessuno è artista e in cui vedi tutta l’energia e la drammaticità di una società in piena trasformazione? Per questo non ho chiesto loro di produrre un’opera d’arte, ma di concentrarsi su delle ricerche che sono tuttora in corso. Quindi non so ancora a cosa porterà questa residenza ma ne sono molto stimolato. Tornando all’attività della Serra, in questo momento sto scegliendo i partner per la prossima Biennale di Architettura e quindi vi invito a passare dal prossimo giugno a novembre».