“Un’Idea Brillante” è il titolo della mostra che abbiamo curato alla FRISE Kunstlerhaus di Amburgo quest’estate. Ha coinvolto tre giovani artiste italiane e celebrato a suo modo, e a nostro modo, il ventennale della morte di Alighiero Boetti. Ecco il racconto di com’è nata, ma soprattutto di come si è sdoppiata.
A volte le idee semplicemente avvengono. Sanno essere rapide, improvvise, nette. Sono lì, nella loro immacolata evidenza. Pronte per l’uso. Bisogna prenderle per quello che sono e usarle. E non resta che arrendersi.
Sì. Noi ci siamo arresi. Per una volta abbiamo deciso di mettere da parte il gusto, i contenuti, i concetti. Quelli che si suppongono essere i nostri. Ci siamo fatti trascinare da forze esterne. Forze rigorose e disciplinate, devote agli schemi, alle griglie, alle regole, alle ripetizioni.
È stato un tradimento. Lo abbiamo fatto assieme, di proposito. Per il bene della nostra coppia.
Fin dal primo momento abbiamo pensato ad Hanne Darboven. No, in realtà non ce l’avevamo in mente. È stata Caterina Rossato a farci entrare in questa modalità. In un pomeriggio incerto d’autunno, davanti alle sue mappe mentali.
Sulla strada di ritorno, ci siamo detti: Darboven. Comunque vada. Darboven.
Poi è arrivato Alighiero Boetti. Poco prima di un consiglio comunale, a Venezia, con Angela Vettese, sottratta per un po’ dal suo prestito alla politica. Parlavamo di giunte, protocolli, accademie, Serena Vestrucci, viticoltori francesi e no tengo dinero. E poi all’improvviso l’oracolo: «nel 2014 sono vent’anni dalla morte di Boetti». Non ci sarebbe stato da festeggiare, ma non si poteva mancare all’appuntamento.
Riguardo il posto che avrebbe ospitato la mostra, invece, non c’era da farsi domande. Era ovvio. Ne avevamo parlato qualche tempo prima con Vittorio Urbani di Nuova Icona, che stava cercando di attivare un programma di scambio italo-tedesco. Sì, non c’era dubbio. La casa di Aby Warburg. La Fondazione Darboven. L’accademia di Franz Herald Walther dove ora insegna Thomas Demand. Insomma, la città del metodo geometrico piegato alla causa umanista. Hamburg.
Il titolo si trovava lì. Ci stava aspettando sommerso da cumuli di immagini, parole e oggetti. Non credevamo alle nostre orecchie quando Sabine Mohr della Künstlerhaus lo nominò per la prima volta. Si avvicinò al microfono, tanto che gli occhi entrarono nello schermo da cui la vedevamo. Interruppe il suo inglese e camuffò il tedesco per fare spazio a quella frase. “Un’idea brillante”. L’aveva già trovata. Era a casa di Hajo Schiff, collezionista sfrenato e minuzioso accumulatore, scritta su un arazzo che Boetti aveva fatto fare e rifare dagli anni ’80 fino all’anno della propria morte.
Ma Alighiero Boetti è anche Alighiero e Boetti. La necessità di sdoppiarsi veniva da sé. Ed è a questo punto che è entrato in scena KP Brehmer: alterego imperfetto del nostro torinese. Anche Brehmer in giovane età aveva fatto parte di un movimento da cui poi si era gradualmente distaccato -in questo caso il Kapitalistischer Realismus- aveva misurato cose alla sua epoca immisurabili -non i 100 fiumi più lunghi del mondo, ma le sfumature del cielo e la paura collettiva della Terza Guerra Mondiale- e aveva prodotto opere attraverso la sola formulazione di regole. Entrambi avevano esposto alla Documenta 5 di Harald Szeemann ed entrambi erano interessati alla carta e al colore blu. Una differenza importante: a partire dal 1971, quando ottenne una cattedra ad Amburgo, Brehmer scelse una vita più sedentaria.
Cosa succederebbe se l’Ikea aprisse in un centro abitato, in piena città? Qualcuno di sicuro protesterebbe. Molti si arrederebbero casa. E noi probabilmente andremmo a farci colazione.
L’Ikea di Altona, nella parte ovest di Amburgo, è proprio così: nel cuore della vita di quartiere tra kindergarten, mercati, discount, apotheke, kiloshop, qualche protesta e molti acquisti. E noi lì a fare colazione, al primo piano con vista Große Bergstraße, di fronte alla scritta Peace Connect: il nome di un internet point gestito da un signore turco che al nostro arrivo in città ci aveva attivato una sim-card con numero tedesco. Le compagnie per immigrati sono le più comode se sei di passaggio. Con Lyca card da Peace Connect vai sul sicuro. Una piccola importante certezza per migranti di ogni età ed estrazione sociale, del nuovo e del vecchio internet. Più che una semplice navigazione o una telefonata o un’attivazione di carta. Peace Connect era già la nostra seconda sede permanente, il mirror site della Künstlerhaus.
Tra le postazioni rosse di quella saletta, gli Screen Mandalas di Valentina Roselli avevano trovato finalmente il loro habitat. Liberi di pulsare nei motori di ricerca degli utenti, prima di dissolversi chissà dove a ricerca iniziata. Forse a Trabzon, Kumasi, Katmandu, Abidjan, Takoradi, Kabul…
Oppure, non lontano da lì, al 26 di Arnoldstraße. Nei 13 minuti di distanza dallo spazio espositivo. Lasso di tempo e di spazio dove a volte l’idea avviene.