Qualcuno crede che i sassi suonino, parlino, si esprimano. Qualcun’altro a queste dichiarazioni risponde «impossibile!». Ebbene, si sbaglia! Pinuccio Sciola, artista sardo di S. Sperate (Cagliari) ha dato voce alla pietra. La magia ha le dimensioni di un grande monolite inciso longitudinalmente, con una serie di fenditure, da parte a parte, che permettono attraverso amorevoli carezze o energico sfregamento, la produzione di un suono – sia chiaro – non la riproduzione di qualcosa di conosciuto ma fonte di musica essa stessa, esattamente come lo è la voce umana. L’opera di Sciola combatte quindi un luogo comune, che vede la pietra come materia uguale da sempre immobile, la cui sorte non ha riservato ruolo. A distruggere questa convinzione non è l’artista, bensì la stessa roccia, con la sua ‘voce’.
Le prime sperimentazioni delle Pietre sonore le ha fatte intorno al 1995 seguendo un percorso che da sempre lo ha legato a Sa perda, come si dice nel dialetto della terra dei Graniti; legame imprescindibile di un uomo che vuole celebrare la grandezza di quest’elemento sottolineando, attraverso questa operazione, l’aspetto etico prim’ancora di quello artistico. Pinuccio Sciola ha voluto che dalla pietra venisse fuori l’essenza, ed è inseguendo questa convinzione che l’ha sezionata, perforata fino alle viscere, e poi le ha parlato: questa gli ha risposto.
Strumenti preistorici, eppure modernissimi, le pietre hanno conquistato nei modi del linguaggio ‘litofonico’, il panorama artistico e musicale contemporaneo. Compositori, come Paolo Fresu, Riccardo Deplano, il percussionista Pierre Favre, Maurizio Barbetti [che ha concepito il primo concerto per ‘pietra e violini’], ne hanno indagato le potenzialità; fino ad Antonio Doro, grazie al quale trachiti e arenarie hanno calcato la scena scaligera, ottenendo un notevole successo.
Renzo Piano ne ha voluta una per il neonato auditorium capitolino, una di grandi dimensioni, da collocare nel giardino interno, dietro alla grande vetrata del foyer. Più di due metri di basalto grezzo, selvaggio, consumato dal tempo e forgiato dalla natura, si delinea monumentale su uno sfondo di bambù. Unico intervento esterno alla superficie la lama d’acciaio dell’artista. Fitti tagli verticali [in altre opere anche ortogonali] perfetti, profondi, dai quali il suono si libera e fuoriesce stimolato anche solo dal passaggio dell’aria. Le pietre di Sciola non solo comunicano ma disobbediscono ulteriormente alla natura mostrandosi trasparenti, percorribili dalla luce, dall’aria e dall’occhio umano, che divertito si misura con esse in un gioco da Op. Art .
Biografia
Nato nel 1942, Pinuccio Sciola vive e lavora a San Sperate presso Cagliari dove si diploma al Liceo Artistico con il suo padre spirituale Foiso Fois, frequenta poi il Magistero di Firenze, i corsi di Kokoschka, Minguzzi, Kirchner e Vedova, e ancora a Salisburgo la Sommerakademie. Importanti le amicizie con Moore, Wotruba Manzù, Sassu oltre a quella con Sequeiros. Nel 1976 è invitato alla Biennale di Venezia. La sua performance ha visto la trasformazione di Piazza S. Marco in canneto paludoso, così come doveva essere prima che fosse costruita di legno e marmi fiammeggianti. Nel 1983 è al Festival di Spoleto; nel 1984 allestisce alla Rotonda della Besana di Milano la rassegna Pinuccio Sciola: uno scultore per una scuola’ (con la Scuola Internazionale degli Scalpellini di San Sperate); espone alla Quadriennale di Roma del 1985 e dal 1986 è presente in diversi Musei tedeschi che conservano oggi sue opere. E’ la volta dei grandi Menhir, e dei Semi di pietra dai quali, a domanda diretta, i bambini rispondono «da un seme di pietra, nasce una …montagna!».
Con le Pietre sonore, Sciola trasforma il rapporto tra artista e materia, dove il primo non decide più le sorti della seconda ma si limita semplicemente a liberarne l’essenza.
andrea delle case
[exibart]
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