Come sottolineato dal direttore artistico del Museo Man, Cristina Collu, “…La prima regola è considerare la cornice come un filtro usando il paradosso di una separazione che proprio in quanto separa e isola permette il passaggio e la comunicazione, che non esclude ciò che sta fuori dall’inquadratura ma anzi lo chiama dentro, invitando a sistemare l’ultimo pezzetto di un grande puzzle…”
La mostra invita ad una riflessione sul tema della cornice concepita non più come limite dell’immagine ma come arricchimento della stessa, superando l’attribuzione di completamento decorativo dell’opera fine a se stesso.
De Giorgi e Gentile propongono “Scatola per inalazioni tossiche” rivestita all’interno da una serie di specchi, per riflettere la foto del porto di Marghera, investito da densi fumi neri; a Theselius e Licita appartiene l’immagine appesa al contrario di un uomo che pare avere le gambe per aria, davanti alla quale è stata posta una sedia. L’opera di Piva e Fazel consta di un argenteo scrigno che funge da espositore per le fotografie contenute; Campana e Otero propongono l’immagine di un nudo di donna immerso in un gel e racchiuso in un supporto plastico, trasparente, illuminato dal basso. Per Bonfanti e Nicolini la fotografia s’intravede sotto il tessuto, sorta di sipario che lascia intuire la continuità dell’immagine; “Trecentosessanta gradi” di Castiglioni e Colombo rappresenta il tentativo di raggiungere la terza dimensione attraverso un cilindro in plexiglas, nel quale sono contenute le immagini, che ruota su se stesso. La fotografia di una giovane donna incorniciata da una stella è il messaggio di Mendini e Occhiomagico ispirato da Man Ray, mentre Bergne e Soave allontanando la cornice dal muro distaccano le foto dalla loro collocazione naturale.
Una mostra senza “limiti” ma con un unico vincolo, i progetti devono rientrare nella dimensione massima di 200×200 cm. Questi i nomi dei designer e fotografi presenti all’esposizione: Mauro Bellei per Mario Cresci, Sebastian Bergne per Luciano Soave, Renata Bonfanti per Toni Nicolini, Fabio Bortolani per Paolo Rosselli, Costantin e Laurene Boym per Michel Delsol, Camagna/Carmoletto/Marcante per Roberto Marossi, Fernando e Umberto Campana per Andres Otero, Stefano Casciani per Mario Ermoli, Achille Castiglioni per Cesare Colombo, Gianfranco Cavaglià per Pino dell’Aquila, Tony Cordero per Giorgio Avigdor, Lorenzo Damiani per Benvenuto Saba, Manolo De Giorgi per Moreno Gentili, Giorgio Drasler per Carla De Benedetti, Nathalie du Pasquier per Jacqueline Vodoz, Marco Ferreri per Vincenzo Castella, Enrico Franzolini per Francesco Radino, AG Fronzoni per Mimmo Jodice, Nikolaus Göttsche per Mario Carrieri, Johanna Grawunder per Ettore Sottsass, Konstantin Grcic per Tamara Grcic, James Irvine per Santi Caleca, Marta Laudani per Roberto Bossaglia, Corrado Levi per Beppe Finessi, Ross Lovegrove per Gary Borzenich e Gavin Lindsay, Italo Lupi per Carlo Valsecchi, Alessandro Mendini per Occhiomagico, Enric Miralles per Duccio Malagamba, Jasper Morrison per Eva Maria Ocherbauer, Donata Paruccini per Cristina Omenetto, Paolo Rizzato per Gabriele Basilico, Marco Romanelli per Gionata Xerra, Alessandro Scarpellini Piva per Ramak Fazel, Alvaro Siza per Roberto Collovà, Mats Theselius per Salvatore Licitra, Paolo Ulian per Sergio Efrem Raimondi, Massimo Varetto per Raffaello Scatasca.
La mostra è stata curata da Marco Romanelli, Bruno Danese, Jacqueline Vodoz, Marianne Lorenz per l’Association Jacqueline Vodoz et Bruno Danese.
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Roberta Vanali
visitata il 2 marzo
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