Più di trenta metri di pietra calcarea, costituiscono la severa mole della Torre dell’Elefante simbolo, insieme alla sua gemella superstite, della città di Cagliari. Simbolo questa torre lo è dal 1307, anno in cui su progetto del Capula viene realizzata con orgoglio celebrativo dai pisani. Come a Carlo V, la torre, deve essere piaciuta anche allo scultore Andrea Forges Davanzati (Milano, 1963), che ha deciso di far fluttuare le sue creature nei quattro piani dell’edificio militare. La location offre la roccia calcarea ed il legno, il forestiero fornisce la creatività e l’acciaio inossidabile. Ecco gli ingredienti. La scultura di Forges Davanzati, nasce dall’interesse per le forme unicellulari, una sorta di riproduzione ipertrofica di microrganismi opportunamente stilizzati che vengono dal mare.
Il primo incontro nella torre cagliaritana, è quello con un grosso Limulo anzi, con tre, affilati e minacciosi come i dentelli della saracinesca sottostante. Qui la luce è rossa ed il suono è quello della risacca marina. Ripide scale di legno, portano al secondo piano. Le luci ora sono gialle e dappertutto, colorano il bianco della pietra che accoglie, nuda, le proiezioni di immagini astratte. I suoni si moltiplicano, misteriosi, sinistri. Nel giallo si muovono tanti piccoli Parameci stimolati dal vento che, violento, attraversa le feritoie della torre insinuando la staticità delle sculture. Se gli eventi atmosferici non bastano, sono le mani dell’uomo a dover intervenire: «si prega di toccare» suggeriva il Gruppo T negli anni Sessanta alle prese con la scultura cinetica; Forges Davanzati aggiunge «con moderazione», tuttavia il pubblico, condizionato dalla tradizione e da una sorta di rispetto, non azzarda movimenti: osserva e lascia che il vento
Nuovamente sulle scale: terzo piano. L’occhio punta la Molecola illuminata di verde, sospesa come le Diatomee della terza terrazza, lucide e belle, che in natura appaiono tanto piccole quanto resistenti. Sullo sfondo tridimensionale, fatto di angoli e spigoli, si proiettano texture di forme organiche. Quarto piano: blu. Qui, sproporzionato nelle dimensioni, si aggira solitario il Paramecio in acciaio inossidabile, mobile anzi mobilissimo, danza sui ritmi sintetici del sound-designer Simon Balestrazzi e sulle immagini in movimento, tatuate sulla pareti di Massimo Drago.
Un insieme di linguaggi che vivono in simbiosi dando nuova luce, nuovi colori (uno per ogni piano) e nuovi abitanti all’antica “Signora” a base quadrangolare con scatto in avanti, e anche al suo elefantino da esibire come un anello al dito.
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vista il 27 aprile 2003
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