La parola nascente, quella che non si è ancora fatta norma
prescrittiva, ma che fonda l’ethos dell’individuo. L’incontro ogni volta
rinnovato con l’opera, come oggetto che entra a pieno titolo nella definizione
del soggetto. Il dialogo col sacro, le affinità tra il gioco dell’arte e il
rito, inteso non come cristallizzazione di gesti, ma nella sua capacità di
riportarli in vita, ancora e sempre.
La mostra
Indicibile Dicibile – parte di un progetto più ampio
su
Arte e Fede promosso dalla diocesi di Tempio e che confluirà nel raffronto tra religione cristiana
e religione islamica – registra le suggestioni che un tema così importante ha
generato in dieci artisti sardi delle ultime generazioni.
In
Groviglio coronarico,
Pastorello dipana linee di tensione turgide
e tese, vere e proprie scariche di energia su fondo astratto. Pare un esercizio
calligrafico alla
Pollock, un esempio aggiornato di
japonisme dalle allucinazioni rizomatiche
pensili e proliferanti. Il foro di
Roberta Filippelli si affaccia su un vuoto
inconoscibile: è facile immedesimarsi nelle creaturine così vicine all’abisso,
eppure così inconsapevoli.
Chiara Demelio adotta invece il gioco performativo come strategia
per alludere a un rito del quotidiano perso e malinconicamente evocato, e per
eludere nella narrazione il senso di perdita attraverso una parodia di gesti
condotta nel teatro naturale della propria coscienza.
In
Minime distanze,
Gianni Nieddu pone i suoi omini di fronte a funzioni semplici, ma in
quanto tali immani. Ogni episodio della serie diventa un compito da risolvere,
un esercizio minimo di sopravvivenza per passare al successivo, in una catena
di fatiche e piccole grandi peripezie.
Gavino Ganau affronta la dimensione
collettiva, da stordimento mediatico, della fruizione rituale di significati: la
socialità come antidoto, pieno d’incognite, allo smarrimento del singolo.
Monica Lugas crea una scultura dalla materialità sfuggente, i cui
strati di rivestimento fanno pensare a una pelle come superficie d’interscambio
e comunicazione. Mentre
Alessio Onnis propone due figure femminili enigmatiche, sfingi
mortifere, creature sataniche sospese tra il raccapriccio goyesco e l’effimera
vitalità delle frequentatrici di bistrot postimpressioniste.
Veronica Gambula esplora il territorio dei sogni, luogo deputato per
eccellenza dell’indicibile. Coi suoi pupazzi riporta alla dimensione infantile,
coniugando romanticismo e psicoanalisi. Per concludere con
Enrico Piras e
Giusy Calia,
che cercano l’indicibile tra gli
spazi e le menti di ex manicomi, il primo attraverso una scatola-valigia dove
si raccolgono frammenti e relitti di un’esistenza sommersa, l’altra tramite il
riflesso e lo sfocato fotografico, agenti del doppio e dell’ignoto.