Sofferenti, straziati, devastati. I volti allucinati di Stefania Polese si stagliano tra le pareti delle sale del Man Ray, accomunati da un urlo di dolore soffocato. Ritratti che mettono a nudo inquietudini radicate nell’anima, sofferenze svelate attraverso l’impietoso tratto deformante che rende accessibile ciò che ai più risulta impenetrabile.
L’altro uomo è la coraggiosa ricerca introspettiva di un’artista che conosce i timori più reconditi dell’animo umano. Racconta l’individuo che impegnato a scrutare nell’oscurità del proprio essere scopre disarmanti debolezze, ma anche una violenta reazione alla deturpazione alla quale la società va incontro, svelata attraverso deformazioni fisionomiche.
Da una prima analisi ciò che emerge è un primitivismo pittorico che dagli spietati ritratti di Goya passa
Il linguaggio di Stefania Polese è espressione di un forte travaglio personale e sociale, il mezzo che rivela la drammaticità di una realtà alla quale vorremmo sfuggire, il profondo smarrimento sopraffatto dalla paura di entrare in sintonia con “l’altro ”.
Questa mostra è l’esordio dell’artista, il punto di partenza di un percorso che ha iniziato la sua evoluzione oltre quindici anni fa e che rappresenta anche la premessa di ciò che sarà la sua futura ricerca, il disagio infantile, ma non tanto nei suoi significati più estremi quali lo sfruttamento minorile o la pedofilia, ma riferito perlopiù a quell’infanzia violentemente negata dalla società, che calpesta i sogni dei bambini e li vorrebbe adulti prima del tempo.
“… Ho voluto evidenziare le brutture e le deformazioni alle quali l’uomo e la società vanno incontro, forse per affrontarle con più consapevolezza e coraggio…”. La deformazione espressiva nei volti di Stefania Polese giunge ad esiti d’autentica drammaticità, insita nella precarietà esistenziale, dalla dolorosa rivelazione di una ferita che inevitabilmente lascia come segno l’implacabile solitudine.
roberta vanali
vista il 7. IX. 2002
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