L’aria era pulita, tersa, una bella mattina di fine estate, quasi un perverso desiderio di mostrare meglio – più chiaramente – ciò che sarebbe accaduto quell’11 settembre d’inizio millennio.
Dopo più di un anno dagli attentati, l’occhio si è abituato al nuovo skyline della Grande Mela, privo di quella sfida architettonica chiamata WTC che oggi ha l’aspetto di una voragine ripulita, pronta nel prossimo futuro ad accogliere nuovi mostri ipertrofici in acciaio e vetro. Tuttavia, le immagini nella memoria collettiva, sono ancora quelle di due mozziconi fumanti, commentate alla televisione da mezzibusti terrorizzati, alle quali seguono le fotografie firmate da Joel Meyerowitz unico autorizzato a scattare
All’indomani degli attentati, New York arruola il Maestro del Colore per il drammatico reportage destinato al museo cittadino, che ora, attraverso una selezione di ventotto immagini, sta facendo il giro del mondo. Notturni torbidi di acri fumi, cemento armato e ferri divelti, mostrano il lavoro incessante dei vigili del fuoco, nuovi eroi nazionali, costretti tra le macerie, ma benedetti in alto da immense bandiere a stelle e strisce che parlano di patriottica rinascita. Loro lavorano, lavorano sempre, per rimuovere materialmente e mentalmente quella ferita inferta agli Stati Uniti d’America. Una ferita fotografata a colori che non concedere dubbi, né astrazioni di circostanza. Il colore si sa, rispetto al bianco e nero propone una visione oggettiva e inconfutabilmente vera delle cose.
Terribilmente belle, appaiono le immagini di Meyerowitz, fotografo americano di fama internazionale che arriva a questo lavoro dopo undici libri realizzati e un film. Lui che ha scelto di rivolgere il suo obiettivo alla strada, seguendo la lezione di Cartier-Bresson e Winogrand, si ritrova a documentare i postumi di un fatto senza eguali.
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