Mosche bianche in un mondo quasi
esclusivamente maschile,
Albina (Cagliari, 1898-1994) e
Giuseppina Coroneo (Cagliari, 1896-1978) si fanno
interpreti di un’epoca senza temere il confronto con gli artisti d’oltremare,
nonostante abbiano vissuto e operato quasi nell’ombra. La pregevole mostra
allestita nelle sale di Palazzo Regio tenta di restituirle la fama che
meritano, con oltre 70 opere tra bozzetti di moda, collage e pupazzi in buona
parte inediti.
Sublime è l’impiego del cucito
nell’accostare e sovrapporre fili, stoffe e passamanerie attraverso un rigore
formale e una raffinatezza che sorprendono per la cura del dettaglio. Schive e
disinteressate al mercato dell’arte, le sorelle Coroneo si resero
inconsapevolmente complici di quel rinnovamento che le arti applicate si
prestavano a condurre. Di quel connubio fra arte popolare e avanguardia che,
affondando le radici nell’Arts and Crafts, elaborava in Sardegna, fin dal
principio del Novecento, un gusto ispirato alla lavorazione di tappeti, filet e
intaglio del legno. Con la variante che per le Coroneo l’unicità prende il
posto della serialità, mutando di connotazione i manufatti, che divengono
piccole opere d’arte.
La
I Mostra dell’Artigianato (Cagliari, 1929) sarà occasione
d’esordio per presentare al pubblico i collage di carta, scampoli di stoffa e
panno Lenci di derivazione Déco, immediatamente apprezzati da
Gio Ponti,
Ubaldo Badas e
Giuseppe Biasi. Un Déco che nulla ostenta di “
rustico”, contrariamente a quanto scritto
in precedenza; sono invece l’estrema sintesi e la raffinatezza formale a
emergere, così come avviene nelle illustrazioni di contemporanei isolani come
Edina
Altara e
Pino
Melis.
Agli anni ‘30 risalgono i
“pupazzi” in abiti folkloristici, che subiranno nel tempo notevoli evoluzioni
formali e stilistiche. Sarà infatti la Triennale milanese del 1940 a
rappresentare l’affermazione per le due sorelle, che fra le altre esibiscono le
originali quanto drammatiche figurine, definite all’epoca tragiche rievocazioni
di vita. Derelitti e
borderline che sembrano provenire dall’inferno esistenziale di
Kate
Kollwitz.
Il crudo espressionismo di
personaggi dalle grandi mani, dai tratti somatici grossolani ridotti a maschere
grottesche, non lontane dalle visioni di
Ensor, sono lo specchio di un’epoca
drammatica che culminerà con la guerra e che sarà devastante per le Coroneo,
soprattutto dopo la distruzione di Cagliari nel 1943. Da allora sarà
esclusivamente Giuseppina a portare avanti la creazione di nuovi pupazzi.
Piccoli capolavori che descrivono il dolore di un’esistenza segnata dalla fame
e dalla solitudine, con una deformazione sempre più sconvolgente.
Dal 1959 lavoreranno a tempo pieno
nella bottega antiquaria del Corso Vittorio Emanuele, dove Giuseppina darà
ancora vita ai suoi personaggi fino al 1978, anno della morte, seguita sedici
anni più tardi da Albina. Scriverà Nicola Valle di Giuseppina: “
È scomparsa
senza farsi notare, come fosse stata inghiottita da quell’ombra e da quel
silenzio, in cui, da viva, aveva preferito trascorrere le sue giornate”.