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28
aprile 2009
fino al 2.V.2009 Divina Creatura Cagliari, Laboratorio 168
sardegna
La condizione della donna attraverso le declinazioni di madre e compagna. Tra passato e presente, la mostra restituisce la dimensione divina e quella terrena dell’universo femminile. A confronto, opere di maestri storici e giovani leve...
Una porta lignea intagliata e scolpita che simboleggia la fertilità, maschere nuziali colorate e madri longilinee e allungate: è l’arte africana del Mali, del Camerun e della Costa d’Avorio del periodo tra il XVIII e il XX secolo ad accogliere il visitatore nello spazio di Divina Creatura, la mostra curata da Roberta Vanali.
Quell’arte “primitiva” e “spontanea” che all’inizio del secolo scorso affascinò Picasso e Matisse, i cubisti e gli espressionisti, come prodotto di un’anima collettiva libera dai vincoli della civiltà moderna, segna l’inizio di un percorso espositivo che ruota intorno alla rappresentazione della figura femminile e della sua identità.
Un percorso ritagliato interamente all’interno delle collezioni private isolane – ben sessantasette opere di scultura, grafica e pittura – che restituiscono una sorprendente varietà di declinazioni di quel mito arcaico e transculturale che è l’archetipo della “Grande Madre”, protettiva, possente, creatrice. E alle grandi madri senza tempo rimanda quella di Costantino Nivola, che con la sua ieraticità introduce il visitatore nella sala successiva, vero punto d’incontro fra la sculture lignee africane e le madri della tradizione occidentale, che “sfilano” in successione solo spaziale, mai cronologica, quasi a riprova dell’atemporalità della figura femminile, nonostante il divenire storico.
Sono le madri di Pinuccio Sciola, materiche e poderose, che pur di piccole dimensioni si stagliano decise e forti; le prefiche di Gomez, silenziose e minute, e insieme tragiche; le colorate bagnanti di Foiso Fois. Opere che affondano nel mito della Grande Madre, un mito che ha continuato a riprodursi nonostante le trasformazioni avviate dal processo di emancipazione femminile del secolo scorso.
Sono le opere degli artisti più giovani a prendere atto di questa evoluzione della figura e dell’identità femminile, soffermandosi su quegli aspetti che, pur presenti nel mito – come le tenebre, l’abisso, l’incerto -, spesso hanno trovato meno spazio nella rappresentazione. Così Giuliano Sale, Silvia Argiolas, Alessio Onnis, insieme a Veronica Gambula, Monica Lugas, Giorgia Atzeni e Cristina Madau, esplorano quella dimensione soggettiva e concreta del femminile che il Novecento ha portato alla ribalta, spesso nella sua accezione negativa, capovolgendo il mito della Grande Madre nello stereotipo delle “cattive” madri. Le figure universali cedono il passo a figure concrete e particolari: sono donne sole e visi angosciati che evocano la difficoltà e la contraddittorietà che caratterizzano oggi l’identità femminile, non necessariamente materna.
A chiudere il viaggio, alcune opere astratte che approdano al tema della mostra attraverso quello della rigenerazione: libero da qualsiasi riferimento al corpo e alle sue funzioni, diventa puramente ancestrale e simbolico. Sono le grandi tele di Rosanna Rossi e Salvatore Garau, o i totem lignei di Simone Dulcis, che dalla parte opposta della sala sembrano dialogare senza difficoltà alcuna con le madri africane dalle sembianze giacomettiane.
Quell’arte “primitiva” e “spontanea” che all’inizio del secolo scorso affascinò Picasso e Matisse, i cubisti e gli espressionisti, come prodotto di un’anima collettiva libera dai vincoli della civiltà moderna, segna l’inizio di un percorso espositivo che ruota intorno alla rappresentazione della figura femminile e della sua identità.
Un percorso ritagliato interamente all’interno delle collezioni private isolane – ben sessantasette opere di scultura, grafica e pittura – che restituiscono una sorprendente varietà di declinazioni di quel mito arcaico e transculturale che è l’archetipo della “Grande Madre”, protettiva, possente, creatrice. E alle grandi madri senza tempo rimanda quella di Costantino Nivola, che con la sua ieraticità introduce il visitatore nella sala successiva, vero punto d’incontro fra la sculture lignee africane e le madri della tradizione occidentale, che “sfilano” in successione solo spaziale, mai cronologica, quasi a riprova dell’atemporalità della figura femminile, nonostante il divenire storico.
Sono le madri di Pinuccio Sciola, materiche e poderose, che pur di piccole dimensioni si stagliano decise e forti; le prefiche di Gomez, silenziose e minute, e insieme tragiche; le colorate bagnanti di Foiso Fois. Opere che affondano nel mito della Grande Madre, un mito che ha continuato a riprodursi nonostante le trasformazioni avviate dal processo di emancipazione femminile del secolo scorso.
Sono le opere degli artisti più giovani a prendere atto di questa evoluzione della figura e dell’identità femminile, soffermandosi su quegli aspetti che, pur presenti nel mito – come le tenebre, l’abisso, l’incerto -, spesso hanno trovato meno spazio nella rappresentazione. Così Giuliano Sale, Silvia Argiolas, Alessio Onnis, insieme a Veronica Gambula, Monica Lugas, Giorgia Atzeni e Cristina Madau, esplorano quella dimensione soggettiva e concreta del femminile che il Novecento ha portato alla ribalta, spesso nella sua accezione negativa, capovolgendo il mito della Grande Madre nello stereotipo delle “cattive” madri. Le figure universali cedono il passo a figure concrete e particolari: sono donne sole e visi angosciati che evocano la difficoltà e la contraddittorietà che caratterizzano oggi l’identità femminile, non necessariamente materna.
A chiudere il viaggio, alcune opere astratte che approdano al tema della mostra attraverso quello della rigenerazione: libero da qualsiasi riferimento al corpo e alle sue funzioni, diventa puramente ancestrale e simbolico. Sono le grandi tele di Rosanna Rossi e Salvatore Garau, o i totem lignei di Simone Dulcis, che dalla parte opposta della sala sembrano dialogare senza difficoltà alcuna con le madri africane dalle sembianze giacomettiane.
francesca giraldi
mostra visitata il 17 aprile 2009
dal 17 aprile al 2 maggio 2009
Divina Creatura
a cura di Roberta Vanali
Laboratorio 168
Via Mameli, 168 – 09123 Cagliari
Orario: da lunedì a sabato ore 18.30-20.30
Ingresso libero
Info: mob. +39 3386439548
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