Quella di
Giuseppe Biasi (Sassari, 1885 – Adorno Micca, Biella, 1945) è una pittura di sintesi dal linearismo asciutto, dagli spazi bidimensionali e dai dettagli ornamentali astratti. Dove con accostamenti di colore puro, steso con pennelli di setola, ricrea ambientazioni e costumi tradizionali non sempre attendibili dal punto di vista etnografico. Ma ciò a cui Biasi importa non è la descrizione pedante, minuziosa, ma l’idea, il simbolo, l’archetipo, rappresentato in primo luogo dalla figura femminile. Vista come donna-madre-terra-natura, molte volte languida e sensuale in una Sardegna esotica e fiabesca, e con i suoi costumi tradizionali. Nelle sue opere possiamo infatti osservare la Sardegna, l’Africa, le campagne biellesi libere dalle varie visioni degli intellettualismi stilistici allora in voga.
In un ambiente spazioso e luminoso, semplice e austero, sono esposte per la prima volta tutte le opere della Collezione Giuseppe Biasi di proprietà della Regione Sardegna, grazie alla quale si può apprezzare l’intero percorso dell’artista.
In totale sono 283 opere tra oli, tempere, pastelli, chine e xilografie. Acquistata nel 1956 e finora conservata in due differenti depositi, la collezione non era mai stata riunificata sinora e alcuni dei dipinti più importanti, prima in precarie condizioni di conservazione, sono stati restaurati per l’occasione.
In mostra ritratti di fanciulle, donne “bozzolo”, figure dal contorno segmentato e geometrico, processioni del Corpus domini, crocifissioni, pitture con grumi, tempere bianche su fondo nero, xilografie e cromolinoleografie, per un primitivismo da “Gauguin mediterraneizzato”, però sempre originalissimo nei suoi esiti.
Sono altresì visibili opere di recente acquisizione: l’inedito
Dopo il rosario (anni ‘10) e il ritratto di
Germana Lonati (1923) a tempera su carta, ritratto di una bambina di dieci anni che Biasi trasforma in una secentesca infanta, ispirandosi all’
Infante Filippo Prospero (1659) di
Velázquez; inoltre, l’olio su tela
Corteo nuziale (anni ’10-‘20), dal taglio fotografico, realizzato durante il periodo milanese, il più fecondo per l’artista.
Da segnalare la
Processione nella Barbagia di Fonni (1909), con cui debuttò alla Biennale di Venezia nello stesso anno; tre grandi dipinti a olio, grafici e secessionisti, del 1910-11:
Grande Festa Campestre,
Uscita dalla Chiesa e
Processione in Barbagia.
Quanto ai lavori del periodo africano, vanno citati l’olio su tela
Faisha (1925), gli studi di teste e le donne al fiume con influenze dell’arte egizia, della scultura locale, indiana, khmer e siamese, e con le suggestioni dell’esotismo decadente di
Delacroix e
Gérôme.