Richiede un’attenzione particolare questa personale di Valentina M (Cagliari, 1975). Ad un primo sguardo le opere esposte sembrano parlare di desolazione e solitudine, addirittura di angoscia. Ma ad un’analisi più profonda emerge un linguaggio che racconta di peregrinazioni, di esperienze e ricordi. Di persone.
Un primo segnale sul fondamentale tema del viaggio sono le valigie poste al di sotto delle opere, che scompariranno col trascorrere dei giorni, a sottolineare il tempo passato e le esperienze già vissute. Un’installazione, questa, che accompagna i 15 dittici fotografici, in cui si opera un transfert tra ambiente e persona in un legame indissolubile. Particolari che hanno il loro fascino nella banalità, inquadrature inusuali ed espressioniste di interni vissuti, in cui si sono susseguiti gesti e parole. Sono in realtà la personificazione di coloro che nelle peregrinazioni dell’artista in Italia e in Europa le hanno offerto accoglienza e calore: “quello specchio non è uno specchio. Quella è Giada”. I colori caldi delle fotografie sottolineano il senso di protezione. Le frasi che completano ogni dittico cercano di spiegare, col senno di poi, le situazioni catturate con le istantanee. Parole scritte in maniera incerta, forse restie a venire fuori ma necessarie.
Le opere sono disposte in ordine cronologico in due sale. Nella prima quelle che fanno riferimento al passato e che parlano di persone conosciute, di momenti trascorsi, di fatti oramai sedimentati nella memoria.
La seconda sala è dedicata invece ai dittici più recenti, a quelli dell’incertezza, dell’hic et nunc,, della momentanea estraneità dei luoghi. È infatti nella più importante di queste opere che l’artista ritrae anche un suo capo: un primo passo per stabilire un rapporto con un luogo ancora alieno. E qui i colori si fanno freddi, le ombre più nette, il turbamento palpabile. La serie di porte semi aperte (o semi chiuse?) hanno la carica inquietante di alcune analoghe immagini di Peter Saville.
Quello che Valentina M fa con questo work in progress è creare un’intima mappa per documentare le proprie esperienze. Un concetto di mappatura che assomiglia molto a quello lettrista: luoghi messi in correlazione non dalla vicinanza bensì dalla continuità di flussi attrattivi che li legano gli uni agli altri. Ma questa volta i frammenti sono della propria vita: “nient’altro ancora che un episodio qualsiasi”.
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