“Il Surrealismo fece per Mirò quello che nè il Cubismo nè ogni altra dottrina puramente plastica avrebbero potuto fare. Lo incoraggiò a risalire all’infanzia, in cerca dei materiali per la sua visione più matura e a fare di questi materiali una dichiarazione pittorica che è al tempo stesso una specie di poetica. Razionalizzò l’insieme di arte popolare, primitivismo, spirito nativo e grottesco spagnolo con la mistica dell’erotismo che costituì l’interesse metafisico peculiare del Surrealismo…” (H. Cramer, 1959)
Mai altre parole furono così appropriate nel descrivere in sintesi l’intera poetica del geniale artista che fu Joan Mirò , rappresentato al Man da 77 opere costituite da una serie di tele e tavole di grandi dimensioni, di disegni e schizzi corredati da note, ed alcune sculture provenienti dalla Fondazione Pilar e Joan Mirò di Mallorca, ultima residenza-studio dell’artista, fondata per volere del maestro dopo la sua morte.
La produzione degli anni Sessanta e Settanta risulta particolarmente sorprendente sia per qualità sia per quantità; le opere, quasi tutte di grandi dimensioni, hanno colori radiosi come non mai, il lirismo raggiunge vertici assoluti, il recupero della tematica notturna, con le sue “costellazioni” e la presenza di personaggi femminili ed uccelli, divengono più essenziali nelle linee e assumono una posizione centrale. La notte, considerata emblema dell’artista, deriva da quel fenomeno onirico fondamentale della poetica mironiana, dove gli uccelli mettono in comunicazione il mondo terrestre, costituito dalla donna-madre-terra, con quello celeste, dominato dalle costellazioni che annullano quella linea di demarcazione che è l’orizzonte.
Intorno al 1970 Mirò brucerà alcune delle sue tele, quasi per desacralizzare la pittura e far rinascere dalle sue ceneri una nuova arte richiamando la necessità di “assassinare la pittura”, concetto inteso come un’inesauribile e quasi ossessiva ricerca creativa che porterà avanti per tutta la sua esistenza.
Nell’ultima fase della sua vita l’espressione pittorica diverrà sempre più diretta sfiorando i limiti della brutalità, le immagini impostate con essenzialità estrema, vibranti e cariche di forza, verranno associate a macchie di colore sgocciolate o tracciate con violenza; il periodo sarà particolarmente fecondo soprattutto per le arti plastiche e le tecniche miste, ottenute dall’assemblaggio di materiali grezzi o riciclati, caricati di accensioni cromatiche impreviste, e articolati su pannelli di grandi dimensioni di cui l’esposizione è ricca, così come lo è di quelle sculture, realizzate in creta o gesso, che presentano forti analogie con il modellato arcaico primitivo, tanto amato dall’artista per l’estrema semplificazione formale.
La serie di disegni in mostra, realizzati perlopiù a penna con l’intervento di pastelli, ci offre invece la possibilità di approfondire l’analisi dello stato germinale delle sue creazioni, la spontaneità del gesto e la poesia che caratterizzano l’intera produzione del maestro.
Il giorno di Natale del 1983, Mirò chiuse gli occhi per l’ultima volta per raggiungere quell’infinita notte tanto amata in vita, ma il suo universo fantastico, pregno di infantilismo, ingenuità ed estrema libertà continuerà a vivere incessantemente nelle sue folgoranti opere .
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Mostra veramente interessante, i miei omaggi al grande Mirò.
Complimenti a Roberta Vanali per il suo bel articolo.