Ecco le piccole architetture disposte disordinatamente, quasi un’invasione, negli spazi bianchi del Man: tante, troppe, belle e inaccessibili… guai a provarle! La sedia è l’opera più rappresentativa del movimento moderno, secondo alcuni, campionario infinito sulla quale tutti i grandi progettisti si sono misurati; giocando e sperimentando su un oggetto la cui funzione primaria è quella di accogliere il nostro fondoschiena, non importa con quali soluzioni formali, con quali materiali; bisogna potersi sedere e basta! [meglio se comodi].
Il museo Man di Nuoro affronta la storia di questo funzionale oggetto attraverso una selezione di cento esemplari provenienti da una delle maggiori fondazioni di design del mondo, il tedesco Vitra Museum. Una Sfida difficile, non impossibile, che inizia dagli albori della produzione artistica industriale del XIX secolo, proponendo le novità del gusto secessionista fatte di legni modellati al vapore che ricercano flessuosità a colpo di frusta proposte da Thonet; oppure con elementi geometrici quadrato-cerchio targati Hoffman.
Ma il Novecento, si sa, è il secolo delle avanguardie e il design è soprattutto figlio di quelle sperimentazioni. La scomposizione cubista si riordina plasticamente nel rigore ortogonale di Rietveld la cui sedia, nelle sale del museo, fronteggia a mo’ di sfida, l’altra grande proposta di quegli anni: la celebratissima Vassilj firmata Breuer. La Rosso Blu figlia del neo plasticismo ed emblema dell’avanguardia olandese, gareggia contro lo scatto dinamico in acciaio cromato e pelle nera del Bauhaus. Più vicino a quest’ultima la meno algida proposta, in metallo e tela, di Le Corbusier che si accompagna alla ‘macchina da riposo’ chaise-longue del 1929.
Chi fa ancora vanto di materiali tradizionali risolti in multistrato è Alvar Aalto, che rifiuta interferenze metalliche, preferendo il legno di betulla, da modellare armonicamente come la natura ha fatto con il paesaggio finlandese.
Il secondo conflitto mondiale porta verso il nuovo continente gran parte dell’intellighenzia europea, ma stabilisce anche la nascita, negli anni Cinquanta, dello Stile Italiano.
In America la diversità è bandita e d’ora in poi si considera un’imperfezione anziché un pregio. Nasce la massiccia produzione seriale a bassi costi e il design a stelle e strisce si concede geometrie in rete metallica di Bertoia ed Eames oppure, sempre di quest’ultimo, ergonomie in fiberglass che non si vergognano della loro origine tutta tecnologica. Risposta al mito americano è l’italiana superleggera di Giò Ponti: straordinaria soluzione della ‘Sedia-sedia’, da sollevare con un solo dito, il cui test di resistenza, l’ha vista catapultare giù dal quarto piano! Più ardita nelle forme, è la successiva Mezzadro dei fratelli Castiglioni, che rubano al trattore il sedile a cucchiaio in plastica forata. Il Boom Economico a cavallo tra i ’50 ed i’60 favorisce il design grazie anche alle nuove tecnologie che consentono ogni possibile capriccio formale. E’ il trionfo della plastica: la poltrona abitacolo di Aarnio, la Tulipano di Saarinen, il pezzo unico di Panton o quella di J. Colombo, fino alla poltrona in PVC colorato da gonfiare, figlia della cultura Pop. La sperimentazione formale non sembra placarsi nei decenni successivi. Sono anni coloratissimi (eccoci negli indimenticabili ’80) quelli di Ettore Sotsass, della Milano da Bere, dell’edonismo più spinto e la sedia diventa sempre più opera d’arte ‘pura’ da esibire, da ammirare e contemplare. Arte sulla quale ci si può anche sedere.
Sedie, sgabelli, poltrone rigide e severe o imbottite e avvolgenti; stravaganti in plastica squagliata, oppure simili ad un carrello della spesa; design eco compatibile in cartone di F. O. Gehry, minimale in legno di frassino per Morrison, ma anche in alluminio lucidato per Newson. Pluralità di soluzioni e forme: ora tutto è concesso.
andrea delle case
vista il 28 marzo
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brava collu:
il design, missionario della cultura contemporanea arriva in sardegna in un museo con un
bravo direttore: