Se per Aristotele il concetto di catastrofe rispecchia il momento in cui l’intreccio della tragedia sciogliendosi determina un cambiamento repentino nello stato d’animo del protagonista, per Renè Thom consiste nella reazione inattesa, catastrofica, appunto, provocata dall’improvvisa interruzione di continuità di un fenomeno. La mostra non vuole essere espressione della sola accezione negativa del termine, ma un’analisi ironica e dissacrante che non colga solo l’aspetto spettacolare enfatizzato dai media.
Nelle due opere di Fontana, che introducono il percorso espositivo, l’analisi della materia e l’esigenza di oltrepassarla determinano un improvviso gesto di rottura che genera impetuose lacerazioni sconvolgendo la monotona bidimensionalità. E’ il fuoco il mezzo che Burri utilizza per accelerare la corrosione della materia accrescendo il carattere drammatico di frattura. A “Nero” si contrappone la catastrofe naturale di “Cretto”, emblema del terremoto di Gibellina attraverso il quale immortala l’attimo della tragedia nell’opera di land art più grande del mondo.
Nella parete di fondo si stagliano gli sguardi terrificanti delle vittime cadute per la Resistenza a Bologna: Boltanski si fa testimone di una catastrofe antica che continua a vivere nei volti dei giustiziati di “Les regards”. Roberto Perna imprime per terra la sagoma di un cadavere riferendosi ad un avvenimento reale del quale esibisce sinistri fotogrammi. Ironia di gusto noir per l’albanese Adrian Paci nel video “Vajtojca”, simulazione della propria veglia funebre nonché specchio degli orrori consumati nella terra natìa. Non è da meno Paul Smith con i suoi grotteschi salti nel vuoto, connubio tra fotografia e tecnologia digitale.
Bartolini crea un’area inaccessibile, uno spazio del quale è impossibile appropriarsi provocando un senso sconcertante di straniamento. Alla catastrofe ambientale si riferisce il video di Smithson così come Alan Sekula che riproduce una discarica “tecnologica”; al decadimento urbano mira, invece, Almarcegui con le desolate terre delle Wastelands.
Le immagini in un rigoroso bianco e nero del Golem di Mike Kelley introducono un lettino da spiaggia accompagnato da un invitante cocktail che tutto lascerebbe supporre tranne l’imminente catastrofe nucleare che emerge dalle imponenti candide tele di Sarah Ciracì, inquietante riflessione (influenzata dagli esperimenti di Mururoa) sul destino del nostro pianeta.
Al di là della catastrofe naturale la mostra è anche indagine sull’ineluttabilità dell’incidente. Se nella concezione aristotelica l’incidente è casuale, nella società tecnologica d’oggi si configura come un evento intrinseco, fisiologico, parte integrante del sistema. A questo proposito potrebbe essere congeniale l’esortazione del filosofo Paul Virilio, il cui progetto è quello di creare un Museo dell’incidente in Giappone, che recita: “Esporre l’incidente per non esporsi più all’incidente”.
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roberta vanali
vista il 21 dicembre 2003
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