Bello, giovane, fotografo. Endre Fridman, meglio noto con il nome accattivante di Robert Capa, rappresenta il mito del fotogiornalismo mondiale. Un nome che evoca la storia del Novecento: dalla guerra civile spagnola al D.day, dall’invasione giapponese, alle manifestazioni in piazza per le elezioni in Messico fino alla rivolta dei vietnamiti contro i coloni francesi; storia di uomini e donne, dei loro occhi rivolti al cielo, dei loro volti che raccontano la guerra, la paura, la morte.
Robert Capa, Fotografie, è una mostra che nasce dall’Aperture Fundation di New York ed itinerata in
Capa per primo ci ha detto quali erano le conseguenze del conflitto moderno, mostrando al mondo, come nessuno mai prima di allora, l’irrazionalità bellica, abbandonando quindi tradizioni da ‘messa in posa’ adatte a raccontare una guerra da palcoscenico – pulita e vincente – così come era apparsa all’opinione pubblica dall’invenzione della fotografia.
Il suo occhio sensibile, ma anche audace ed incisivo, filtrato da quello meccanico della sua Leica, rivolge la propria attenzione sulla gente comune e come sottolinea Richard Welan, «sebbene realizzi le sue fotografie per sostenere le cause di coloro nei quali crede, come gli antifascisti spagnoli, i cinesi, gli alleati della seconda guerra mondiale, gli ebrei durante la guerra d’indipendenza israeliana, paradossalmente testimonia la propria simpatia ad entrambe le parti in conflitto» dimostrando come tutti siano «vittime delle orrende strategie della guerra».
«Per me Capa indossava l’abito di luce di un grande torero, ma non uccideva; da bravo giocatore, combatteva per se stesso e per gli altri in un turbine. La sorte ha voluto che fosse colpito all’apice della sua storia». Queste le parole di Henri Cartier-Bresson per l’amico Robert Bob Capa.
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