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Tutte le cose che sono state disegnate con una logica stringente hanno una sola contraddizione: non c’è un solo modo di farle”. Parola di Ornette Coleman, il grande musicista che sovvertì le regole del jazz quando, nel 1958, incise
Something Else!!!, album che va oltre le strutture musicali tradizionali a favore dell’improvvisazione pura. E che diventa metafora di un’epoca di passaggio, la stessa vissuta dall’arte contemporanea dopo gli anni ‘50.
Proprio questa condizione di rottura intende approfondire la mostra del Man, che attinge dalla collezione dello Smak di Gent – una delle più prestigiose del Nordeuropa -, una serie di opere che celebra i nuovi linguaggi, dalla Pop art al Nouveau Réalisme, da Fluxus all’Arte povera, fino alla Minimal Art. Quel “qualcos’altro” che s’impone su tutto ciò che di “storico” l’ha preceduto, in una serie di manifestazioni artistiche che si sono sovrapposte, nella loro frammentarietà e discontinuità, dal dopoguerra a oggi, in uno spaccato che include settanta opere di cinquanta artisti.
Un’ampia sezione è dedicata a
Joseph Beuys e a quella visione utopistica dell’arte come mezzo spirituale. Introdotta dal video
Eurasienstab, che documenta la performance del 1968, si prosegue con
Das Loch e
Sediment, per giungere a una delle lavagnette utilizzate dal performer,
Kunst=Capital, emblema del capitale svuotato da ogni accezione economica, e chiudersi con
Erdtelephon, il telefono terrestre.
Si cede poi il passo a un altro esponente del concettuale in senso ampio,
Jannis Kounellis, con pietre e tavolozza annerita dal fuoco che rievocano suggestioni primordiali. Dal concettuale alla Pop Art con
Allen Jones, ironico e dissacrante esponente influenzato dal Surrealismo e dal patinato mondo dei media; si passa da
Andy Warhol, con una sgargiante teoria di
Marylin dal forte impatto scenografico, per giungere a
Martial Raisse, firmatario del manifesto del Nouveau Réalisme, ma dalla connotazione particolarmente pop.
Al panorama contemporaneo appartiene la pittura incorporea e a tratti spettrale del belga
Luc Tuymans, che attinge dalla tradizione dei maestri fiamminghi e spagnoli, ma anche dalla fotografia e dal cinema, per evocare il passato attraverso episodi carichi di pathos. Si fonda invece sull’irriconoscibilità della rappresentazione attraverso la spersonalizzazione dei personaggi il linguaggio del polacco
Wilhelm Sasnal, le cui immagini apparentemente semplici sono frutto di una complessa elaborazione.
Non passano inosservati, infine, i
Corps Noir di
Ann Veronica Janssens, un’enorme tazza nera che inganna la percezione ottica, nonché l’orinatoio rivestito di blatte e scarabei firmato da
Jan Fabre.
Il tutto egregiamente allestito senza un preciso ordine cronologico, bensì attraverso uno stimolante gioco di rimandi e associazioni che pongono nuovi quesiti. In quest’ennesima mostra del Man assolutamente riuscita.