Il percorso espositivo dedicato a Francisco Goya, costituito dall’opera incisoria al completo, prende avvio con la serie “Omaggio a Velasquez”, costituita da sette incisioni realizzate ad acquaforte e puntasecca, e introduce le ottanta opere relative ai “Disastri della guerra”, riflessione critica sulla guerra d’indipendenza spagnola, sulle cause e le drammatiche conseguenze. Dopo avere capito il grande potere di diffusione dell’opera stampata, Goya individuò nell’incisione il veicolo più adatto all’interpretazione critica e graffiante della società spagnola. La serie, che descrive con fredda crudeltà i diversi aspetti della violenza bellica, è stata realizzata usando quasi esclusivamente la tecnica dell’acquaforte per ottenere il distacco netto delle figure dal fondo e conferire una particolare drammaticità alle scene, rivelate mediante un linguaggio immediato.
Non si può limitare la genialità di Goya alla sola capacità tecnica, ma è bene considerare in primo luogo l’enorme distanza che separa la sua opera dal resto della produzione artistica dell’epoca, con una riflessione sulla realtà, alquanto coraggiosa, che seppe interpretare magistralmente.
Proseguendo con il percorso arriviamo alla serie dei “Capricci”, costituita da ottanta incisioni, la cui tecnica è data dalla combinazione di acquaforte e acquatinta, e nel quale l’artista denuncia gli aspetti più reconditi della società, i vizi che la affliggono e le ingiustizie, attraverso un trattato satirico-moralizzante.
La raccolta che tutt’oggi continua a provocare enormi difficoltà d’interpretazione è quella dei “Proverbi”, sia per l’ermetismo delle composizioni sia per l’esecuzione, dato che oltre ad essere rimasta incompiuta, essendo l’ultima serie realizzata dall’artista, nessuna delle lastre è stata mai datata. La varietà di sfumature indica, oramai, la piena padronanza dell’integrazione delle varie tecniche incisorie, ma sconcerta l’abbandono dello spazio tridimensionale e la scarsa attenzione, in riferimento alle proporzioni, nella composizione delle scene.
La sezione numero 5 è dedicata a Pablo Picasso e Joan Mirò, al primo artista appartengono i trentadue bozzetti dei costumi realizzati in collotype dipinti a mano, nel 1916/19, per l’opera il “Tricorno” di Sergej Diaghilev, autore dei Balletti Russi, che gli affidò scenografia, trucchi e costumi. L’opera andò in scena, per la prima volta, a Londra nel 1919. In esposizione anche cinque litografie del 1966, tra le quali “Mere et Enfant au fichu”, alcune ceramiche dipinte a mano e una scultura in bronzo del 1950, dal titolo “Visage d’homme barbu”.
L’opera grafica in esposizione di Joan Mirò, “Les penalites de l’enfer ou les Nouvelles-Hebrides”, è costituita da venticinque litografie realizzate nel 1975, dove immagini fantastiche che emergono dall’inconscio si mescolano con figure antropomorfe e simboli apparentemente elementari, che derivano dal suo universo infantile.
Le sale dedicate a Salvador Dalì occupano la sezione numero 6, la “Sacra Bibbia” è la prima serie costituita da cento illustrazioni per l’Antico Testamento, realizzata nel 1964/69, fondata sul concetto di potenza spirituale data delle rappresentazioni cromatiche contrastanti e dalle grandi masse corporee. L’interesse dell’artista per il tema sacro proviene dalla ricerca delle proprie radici e dall’interesse di miti e archetipi sui quali ogni civiltà si fonda. Porta a compimento una rilettura del testo sacro con estrema modernità, interpretando la simbologia biblica, accompagnata da brani tratti da diversi generi letterari e infine narrandola per immagini, utilizzando spesso inquadrature cinematografiche. Ad accompagnare la serie, in mostra anche la raccolta “Pater Noster”, costituita da 9 litografie e 9 testi per altrettante lingue diverse, le 10 vorticose e frenetiche litografie del “Faust”, realizzate nel 1963, e la serie di 25 litografie “Gargantua e Pantagruel”, di F. Rabelais, che chiudono lo spazio dedicato al pittore spagnolo.
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Roberta Vanali
(vista l’8 aprile 2001)
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