Finalmente il neonato “Ghetto“, spazio polivalente ricavato dall’ex Caserma settecentesca di S. Carlo, mostra tutta la sua funzionalità espositiva accogliendo nelle sue labirintiche sale la grande mostra dedicata a Sebastião Salgado; massimo esponente del fotogiornalismo mondiale contemporaneo, che viene presentato in terra sarda con la raccolta Workers la mano dell’uomo. E’ l’omaggio, in duecento scatti, che il fotografo brasiliano fa al lavoro manuale subalterno ricordandoci che, in un mondo ossessionato dalla globalizzazione, che parla di new economy e di tecnologia da terzo millennio, in realtà più dell’85% della popolazione mondiale vive e lavora secondo regole che rimangono immutate da duecento anni. Una quantità di uomini impressionante, che lavorano spesso per quel 15% di persone, forse ignare, o sicuramente poco preoccupate del fatto che il sigaro che fumano, il te’ che bevono, o l’oro che indossano è frutto del lavoro manuale di uomini donne e bambini, che per vivere e in certi casi per sopravvivere, utilizzano la loro unica risorsa: le mani.
Splendide immagini in rigoroso bianco e nero dall’altissimo valore estetico, che tuttavia non dimenticano la loro funzione di informazione-denuncia. Una galleria di umanità ignorata, apparentemente fuori dal tempo, che Salgado prepotentemente riporta alla nostra realtà con immagini capaci di sorprendere, di intenerire e di impressionare; immagini che non vogliono suscitare pietà ma una sorta di ammirazione per questi individui riuscendo a non essere mai banali.
Nel corso di quello che è forse il progetto fotografico più ambizioso che sia mai stato intrapreso da un uomo, Salgado ha visitato diciannove paesi in sei anni. Ha fotografato gli operai delle acciaierie degli Stati Uniti centro-occidentali, i raccoglitori di tè del Ruanda, i tagliatori di canna da zucchero in Bangladesh, gli operai che incanalano i getti di petrolio in Kuwait e quelli delle miniere d’oro in Brasile. Il suo lavoro è un amaro commento alla Rivoluzione Industriale, che studiamo sui libri e della sua evoluzione nell’era dell’informatica ma che molti uomini non hanno mai conosciuto.
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Andrea Delle Case
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