Percussioni nere di tamburi nigeriani inaugurano ibridAAfrica, mostra d’arte contemporanea in questi giorni nelle sale dell’ex Lazzaretto di Cagliari. Ibrida perché racconta il rapporto/scontro tra sostrato e contaminazioni esterne della cultura Africana capace di cedere alle lusinghe dell’occidente bianco, ma anche di reinterpretare questi stimoli a proprio uso e consumo.
Oggi in Africa tutto si rinnova: dalle statuine lignee della tradizione Baule in Costa d’Avorio, simbolo dei defunti nel mondo ultraterreno, fino ai bracciali cerimoniali dei Re, simili nella fattura ad occidentali Swatch. S’innesta quindi nell’identità forte e radicata del continente nero il nuovo gene occidentale che la cultura contemporanea applica alle regole della tradizione. Ulteriore dimostrazione di questa tendenza sono i Wax Prints, tessuti industriali di produzione olandese disposti a mo’ di enormi patchwork negli spazi del Lazzaretto. Questi tessuti, base dell’abbigliamento femminile, hanno il compito di esprimere messaggi e concetti prestabiliti, secondo un codice fatto di motivi ornamentali e temi grafici che esprimono bisogni, aspirazioni e umori, non dichiarabili verbalmente. Un alfabeto da indossare che comunica sentimenti, ruolo sociale, ed emancipazione, i cui temi si arricchiscono oggi di candele d’automobile, ventilatori e computer, più o meno stilizzati.
A dire la loro, insieme a statuine, bracciali e tessuti stampati, sono anche alcuni artisti testimoni della nuova ‘Africa occidentale’.
Philip Kwame Apagya, propone immagini di sfondi illusionistici fatti a mano che raccontano l’immaginario occidentale di uffici computerizzati, soggiorni e cucine accessoriate. Abitanti di questi luoghi inesistenti, uomini e donne di colore, questa volta reali, impegnati in azioni e situazioni figlie di un consumismo da queste parti sconosciuto. L’idea è quella delle ambientazioni di cartone, che si usavano negli studi fotografici al fine di accontentare clienti desiderosi di apparire in una realtà – non reale – fatta di benessere. Testimonianza d’epoca di questa tendenza sono le immagini dell’Africa post coloniale di SeYdou Keïda e soprattutto quelle a ritmo di swing di Malick Sibiléche raccontano la gioventù anni sessanta travestita da occidente.
Immaginari futuribili dal film Quinto elemento di Besson, auto di lusso, operai e moda Christian Dior, costituiscono il video collage Cconveyance di Fatimah Tuggar, creatrice di contrappunti visivi, da sempre polemica nei confronti di una visione stereotipata della realtà africana. Nigeriano trapiantato a New York come la Tuggar, è Iké Udè che prosegue la sua ricerca di osmosi tra moda e sesso. L’artista realizza oggetti e dettagli che assumono il ruolo simbolico di macchine del desiderio, così come previsto da una seduzione appiattita dagli standard.
In fondo alla sala Guido Schilnkert, è presente con immagini di grande formato che raccontano un’Africa vittima dei modelli d’importazione che si imbelletta ritagliandosi una nuova immagine tra hair-style e nuovo consumismo. La grande immagine Young an with Boock del nigeriano Olu Oguibe, si propone, infine come emblema di tutta la mostra: un ragazzo modificato in verde acido, con cravatta e libro, interpreta l’eredità culturale del proprio paese, ma anche e soprattutto, la necessità di ricerca e conoscenza visti come elemento fondamentale di trasformazione per qualsiasi cultura.
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