Due artisti, due modi di intendere l’arte e la vita. Da una parte l’incessante dialogo con la materia, dall’altra la ricerca del profondo io, attraverso suggestivi topoi della mente e dell’anima, nel terzo capitolo di Zone parallele.
Marta Fontana (Padova, 1971) presenta installazioni coi colori dell’alchimia: bianco, rosso e nero nel costante studio dei materiali. Terre, bitume e carta pazientemente lavorati e tinti con acrilici e smalti artificiali. Un’artista volta al recupero del difficile equilibrio tra natura e artificio, tra essenza e ricercatezza. Un viaggio concettuale, in Path, un iter che va dalla propria dimora, dai ricordi, attraverso una strada sofferta e drammatica, il cui pathos è rosso intenso, in pannelli di compensato con terrose crepe e incisioni profonde. Un viaggio il cui fine è anche il recupero della memoria, nella parola scritta. Segni criptati, indagati attraverso l’incisione o il rilievo, vibranti nella sofferenza della composizione, meticolosi nel dipanarsi dei ricordi, in Della memoria del viaggio. Ricordi lasciati in pagine ordinate, o in stralci raccolti in un diario aperto su uno scrittoio, luogo della riflessione. Indecifrabili e intimi, ancora si leggono in Stele Nera, “punto d’appoggio mentale e di orientamento notturno”. Infine Il passo della sposa, in cui i crittogrammi divengono punti cuciti di un candido abito di nozze, simbolo di un drammatico mutamento di status sociale e psichico. Un’asta in legno, quasi un corpo teso verso un ritmo nuovo, un cammino sopra le memorie della vita da nubile.
Prosegue per Simone Dulcis (Milano, 1971) l’analisi del colore, in particolare il bianco, nell’espressività tribale, tra ermetismo ed ironia. Sorride alle sterili classificazioni dell’arte in Il perfetto informale, omaggia Lorenza Trucchi, ironizza sulle attese dei visitatori. Tragica precarietà invece in Bianco caduco, dove un segno nero irrompe potentemente su uno sfondo neutro. Toni più accesi, senape, rosso, nero in One4soetho, emblema della lacerazione dei conflitti razziali. Ritorna l’ancestrale valenza del granaio, topos dell’anima, custode dei valori più forti. Granai dalle porte piccole, granai marcati da segni. Un geometrico nero su sfondo chiaro in La porta, sconosciuto e magico passaggio, iniziatico accesso al granaio. Segni tribali evocano istinti primordiali, bisogni profondi, ritualità segrete e arcaiche. Segni ed idoletti racchiudono significati oscuri, drammi esistenziali ancora irrisolti, tracciati da isteriche pennellate in bitume e smalti. Dulcis racconta l’uomo alla ricerca di sé, radicato nella Terra Madre, sua genitrice, spettatore di albe, guerriero della vita. Si ricollega al concetto del viaggio ed alla conseguente stesura di un diario il video di Matteo Piras (Cagliari, 1983) che lascia scorrere pagine bianche contrassegnate da freccette. Ad indicare la direzione “ideale” da intraprendere nella strada dell’esistenza.
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