Another Way of Telling è il titolo di una ricerca maturata nell’ambito della sociologia visuale: negli anni ’90, John Berger e John Mohr si “divertirono” a far interpretare cinque loro fotografie a dieci persone profondamente diverse per sesso, età e classe sociale, ottenendo dieci letture eterogenee della stessa immagine.
Anche in
Betty, l’installazione di
Elisabetta Falqui (Cagliari, 1968) – inaugurata allo Spazio P con quattro gigantografie stampate su forex e sei stampe fotografiche – l’immagine diventa uno strumento per attivare “
un altro modo di raccontare”, muovendosi in quello spazio ambiguo e fluttuante della costruzione dell’identità personale.
Un modo di raccontare che, al codice del linguaggio visivo, accosta quello del linguaggio verbale, innescando un rimando non lineare degli sguardi che raccontano l’
altro. Lo sguardo di chi ha scattato le immagini di Betty; lo sguardo di chi, osservando le immagini, ha scritto una poesia, un pensiero, un racconto che parla di Betty; lo sguardo di chi osserva le immagini di Betty e legge le parole che qualcuno ha scritto guardando queste immagini.
Come l’immagine fotografica si stacca e si separa dall’autore che l’ha prodotta, assumendo anche il significato che gli attribuisce colui che l’osserva, così la nostra identità personale è in realtà un’immagine che si costruisce attraverso gli sguardi degli altri che ci osservano. L
a polisemia insita nell’immagine fotografica, dominio della soggettività di chi la produce e di chi la osserva, riporta ancor più della parola alla polisemia insita nella percezione dell’altro e nel processo del vedere, che sta alla base della costruzione dei fenomeni sociali.
Qual è la vera Betty? È il volto che si vede nelle fotografie di piccolo formato o quello segmentato nelle unità dei pixel che domina nelle immagini più grandi? Qual è la vera Betty? Uno dei personaggi che prende vita nei brevi racconti, nelle poesie, nelle frasi che contengono l’idea che ciascuno si è fatto di lei guardando la sua immagine, o tutti quanti insieme?
In realtà, Betty è l’altro genericamente inteso, l’altro che guardo solo col mio sguardo, l’altro che costruisco a partire totalmente da me. Perché l’altro decontestualizzato non parla di se stesso, ma parla solo di colui che lo osserva, generando un messaggio ambiguo, che rende possibile inventare su di esso qualsiasi tipo di narrazione.
In questa
another way of telling messa in atto da Elisabetta Falqui, Betty non esiste. Perché è solo l’immagine suscitata dalla somma degli sguardi personali di coloro che l’hanno osservata.