Calata un tempo nelle stanze, appunto, della prestigiosa cornice del Palazzo Amat di via La Marmora, l’omonima rassegna oggi si è adattata alla disposizione logistica degli spazi ospitanti, come precisa Raffaella Venturi nel testo del prossimo catalogo dell’evento, dedicato a Forme difformi. Scultura e dintorni in Sardegna. In realtà, si scopre che tale precisazione della curatrice non è riferita solo allo spazio, in questo caso una grande sala unitaria da immaginare divisa in cinque sezioni, ma anche all’argomento centrale sul quale i cinque artisti prescelti sono stati chiamati ad esprimere il proprio contributo. È vero che Col tempo, la rassegna si è aperta ad esperienze artistiche non necessariamente installative, come ricognizioni sulla pittura in Sardegna tuttavia, non è così immediato trovare nelle opere di alcuni artisti in mostra un riferimento saldo e tangibile al tema proposto, vale a dire la scultura in senso stretto, nella valenza più concreta del termine. O forse è da considerare che le opere di chi non l’ha espressa nella pienezza del suo significato, siano, invece, da mettere in rapporto a quella parola …dintorni, evidentemente riferita a lavori plastici, non troppo vicini ad esperienze scultoree vere e proprie.
Ci sarebbe da domandarsi quale sia l’esperienza scultorea di Gianfranco Pintus -peraltro molto più apprezzabile come pittore- che per Stanze 2006 presenta l’opera intitolata Silenzio. La materia riflessa nello specchio in una vasca piena d’acqua, al di là dell’alto significato filosofico e ai ben noti richiami letterari, non contribuisce a concretizzare il concetto e a trasmetterlo con forza. Così come una poco coinvolgente Maria Lai che, di solito ci stupisce con la sua fantasia e soprattutto ci cattura con le sue miracolose “installazioni pittoriche”, nella elaborazione plastica della favola di Maria Pietra, mette si in primo piano la sintesi formale, ma ciò che rimane dell’installazione è legato più alla creatività poetica che a quella visiva.
Concreto, invece, nella energica forza sprigionata dalla materia, il cumulo di massi e pietre naturali di Pinuccio Sciola dedicato appunto alla Età della Pietra. L’installazione, solo in apparenza accatastate in modo casuale, è il ritorno dello scultore alla natura ancestrale e al significato simbolico della pietra, come alle origini del suo percorso, prima che sperimentasse la fase delle pietre sonore.
Quasi a voler controbattere il senso di pesantezza dei vicini massi, si presenta soffice e leggera l’installazione aerea di Josephine Sassu, Monumento provvisorio, dedicato alla madre. Un insieme di fiori e petali bianchi appesi a lunghi e sottili fili che sembrano unire eternamente cielo e terra, inneggiano alla purezza e semplicità in un’opera monumentale attraversata da un intenso lirismo.
Altrettanto densa di concretezza l’installazione Intervallo proposta da Wanda Nazzari che, dopo nove anni ritorna, con assoluta coerenza, alla metafora degli inginocchiatoi, la riflessione, la ricerca dell’Assoluto hegeliano. L’opera, che nell’incisione dei libri in puro cotone rispecchia il risultato raggiunto dall’artista sulle opere lignee, comunica la necessità di usare il bianco come desiderio di silenzio e di pace.
Infine, di grande utilità, ai fini di un lavoro di ricerca storica e di comprensione del percorso concettuale e visivo del singolo artista, la parte espositiva allestita al piano superiore su iniziativa della professoressa Maria Luisa Frongia, come parte integrante del programma della scuola di specializzazione in Storia dell’Arte.
erica olmetto
mostra visitata il 1 aprile 2006
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