Ha
preso avvio con l’
Annunciazione e si concluderà con la
Natività il ciclo di esposizioni che vede protagonista la figura della Vergine, per
celebrare il quinquennale della fondazione del Museo del Duomo.
Una
triade d’eccezione – quella affidata all’appuntamento inaugurale – a firma di
Perugino,
Bronzino e
Tintoretto, che ha
ceduto il passo alla trasposizione iconografica della
Visitazione a opera di Cosimo Daddi, Lorenzo Lotto e Tanzio da
Varallo. In un coinvolgente allestimento che concede alle opere di emergere dal
buio totale della sala.
Soggetto
poco rappresentato nell’arte, nonostante le prime manifestazioni in epoca
tardo-bizantina, la Visitazione ha avuto maggior diffusione solo tra il XIV e
il XVI secolo. Ampiamente descritto dal Vangelo di Luca, l’episodio narra della
visita di Maria, in “stato interessante”, all’anziana cugina Elisabetta qualche
giorno dopo l’Annunciazione.
Intrisa
di simbologie, la raffinata opera di
Lorenzo Lotto è il pannello maggiore dello smembrato
Dittico
della Visitazione. Originale,
controcorrente e con una profonda ma inquieta spiritualità, l’antagonista di
Tiziano non tradisce in quest’opera l’impronta della
pittura nordica, sopratutto di
Dürer. In un interno domestico, le due donne al centro sono affiancate
dalla figura marginale di Zaccaria, che assiste dalla soglia, e da due donne,
probabilmente Maria di Cleofa e Maria di Salomè.
Restituito
con abilità fiamminga, ogni elemento raffigurato è metaforico, dal vaso panciuto
che evoca la gravidanza della Vergine alla pergamena che allude al Vecchio
Testamento e il
necessaire da
scrittura alla stesura del Nuovo, fino alla zucca, simbolo di salvezza e resurrezione.
Trafugata
nel 2000 e ritrovata nel 2003 smembrata e gravemente manomessa, la
Visitazione
di Volterra di
Cosimo Daddi ha un impianto compositivo classico, che vede Elisabetta
prostrarsi al suolo a omaggiare Maria, accompagnata, oltre che dalle due donne,
da San Giuseppe. Così come nell’imponente e solenne rappresentazione del
manierista
Tanzio da Varallo:
un capolavoro ancora poco noto,
che rivela l’influenza caravaggesca nel crudo realismo dei personaggi che
affiorano dall’ombra. Caratterizzato da cromatismi intensi e forme plastiche
che ben si amalgamano al monumentale impianto piramidale, accrescendone la
forza espressiva.
Nella
sala attigua, chiude l’esposizione un’opera locale realizzata per la perduta
chiesa di San Francesco di Stampace, ovvero l’unica superstite di
Joan Barceló:
il
Retablo della Visitazione.
Opera di derivazione fiammingo-catalana, con interventi in foglia d’oro e
bulino, si discosta notevolmente dalle precedenti, sia per l’ambientazione
prettamente medievale sia per l’incontro distaccato delle due donne, che
ostentano abiti sfarzosi.