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Alfredo Jaar allo Spazio Oberdan e Hangar Bicocca a Milano

di - 30 Settembre 2008

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[30|09|2008] |||arte contemporanea/mostra antologica

Alfredo Jaar allo Spazio Oberdan e Hangar Bicocca a Milano

IT IS DIFFICULT

dal 3 ottobre 2008 | a cura di gabi scardi e bartolomeo pietromarchi | spazio oberdan | hangar bicocca | milano

La mostra di Alfredo Jaar It Is Difficult è un’ampia antologica, promossa da Provincia di Milano e Fondazione Hangar Bicocca con il contributo di Regione Lombardia, di intenso significato politico e sociale e di forte impatto visivo ed emotivo dedicata all’artista cileno.

Artista, architetto di formazione e film-maker, Alfredo Jaar nasce nel 1956 in Cile e si forma durante la dittatura militare di Pinochet, producendo diversi lavori esplicitamente critici rispetto al regime. Si trasferisce nel 1982 a New York. Nei vent’anni successivi partecipa alle maggiori mostre e rassegne internazionali.
Nell’arco del suo percorso Alfredo Jaar instancabilmente si interroga su come l’arte possa interagire con il contesto sociale e politico più vasto; affronta temi di assoluta rilevanza, legati in molti casi a situazioni di urgenza umanitaria, di oppressione politica e di emarginazione sociale, di scarsa considerazione dei diritti umani e civili. Si concentra in particolare su situazioni che la nostra coscienza tende a rimuovere e sulla retorica attraverso la quale i media manipolano e trasmettono le informazioni. Con le vicende che tratta, l’artista si confronta direttamente dando voce e volto alle vittime e ai testimoni.
Jaar crede in una correlazione tra etica ed estetica, attribuisce fondamentale importanza a un ruolo attivo e socialmente responsabile della cultura e insiste sulla necessità di ribadire, attraverso l’energia creativa dell’arte, posizioni etiche, anche fortemente critiche, di fronte a temi difficili e a fatti gravi come ingiustizie, genocidi, emergenze umanitarie.
Nelle sue opere, sempre improntate a estrema perfezione formale, adotta linguaggi e strumenti diversi, dalla scultura all’installazione, dal video alla fotografia, al lightbox fino a opere di dimensioni ambientali.
La mostra, realizzata in stretta collaborazione con l’artista, rappresenta un percorso attraverso le sue opere più importanti, rappresentative di oltre vent’anni di lavoro.
Una mostra importante, che farà riflettere, discutere, e consentirà al pubblico di conoscere l’opera di un grande maestro contemporaneo.
Le vicende e l’immagine dell’Africa e le sue relazioni con il mondo occidentale costituiscono il filo conduttore della sezione di mostra allestita allo Spazio Oberdan. Jaar ha infatti dedicato diverse delle sue serie più importanti alla situazione di paesi africani come il Ruanda, l’Angola, la Nigeria. Vero e proprio punto di svolta nel suo percorso è The Rwanda Project: ventuno lavori eseguiti tra il 1994 e il 2000 in cui Jaar dà voce e volto alle vittime e ai testimoni del genocidio di massa avvenuto in Ruanda.
Di questo ciclo saranno presenti allo Spazio Oberdan cinque opere: The Eyes of Gutete Emerita (1996), Embrace (1996), Field, Road, Cloud (1997),Epilogue (1998), Untitled (Newsweek (1994).
The Eyes of Gutete Emerita: opera cardine della serie; innumerevoli diapositive accumulate su un tavolo luminoso presentano un’unica immagine, gli occhi di una donna che ha assistito al massacro della propria famiglia. Embrace: video in cui due ragazzini visti di spalle si danno forza stringendosi in un abbraccio mentre assistono a un episodio precluso alla nostra vista.
Field, Road, Cloud: tre lightbox con fotografie di splendidi paesaggi africani cui sono abbinate piccole mappe disegnate e annotate a mano; la natura lussureggiante stride con gli appunti di Jaar sugli efferati massacri avvenuti nei luoghi medesimi.
Epilogue: la labile immagine proiettata del volto dolente di una anziana donna ruandese si ritrae e riaffiora continuamente evocando i meccanismi della memoria, inalienabile e inafferrabile al contempo.
Segue, sempre allo Spazio Oberdan, una serie di opere dedicate alla retorica dei media, i media works: Untitled (Newsweek) (1994), From Time to Time (2006), Searching for Africa in LIFE (1996), Greed (2007). Sono lavori che testimoniano come i media piĂą importanti decisero di ignorare, per lunghi mesi, la strage di esseri umani che nel frattempo si compiva in Africa.
Untitled (Newsweek: ancora parte di The Rwanda Project, presenta diciassette copertine dell’omonimo settimanale pubblicate dal 6 aprile al 1° agosto 1994: il tempo occorso a Newsweek per decidere di dedicare spazio al massacro del Ruanda, cento giorni circa durante i quali, complice la paralisi delle forze internazionali, morì un milione di Tutsi.
From Time to Time: nove copertine di TIME Magazine presentano immagini legate al cliché occidentale che tende a considerare l’Africa solo dal punto di vista paesaggistico, con animali selvaggi e catastrofi naturali; solo l’ultima delle copertine presenta la situazione reale della Somalia.
Searching for Africa in LIFE: copertine di sessanta annate della celebre rivista, nelle quali il soggetto “Africa” viene preso in considerazione raramente, ed è sempre trattato in modo esotico.
Greed: sulla copertina di Business Week l’avidità e lo sfruttamento che riducono la popolazione africana in una situazione drammatica sono rappresentati attraverso l’immagine di un leone feroce. Titolo emblematico del servizio è “Può l’ingordigia salvare l’Africa?”
In mostra allo Spazio Oberdan anche Geography = War (1991): sei lightbox con mappe segnate da traiettorie sul fronte e immagini dell’Italia e della Nigeria nascoste sul retro; una serie di specchi sul muro retrostante riflette le immagini e racconta i drammatici effetti del trasporto illegale di rifiuti tossici dall’Italia ai paesi del Terzo Mondo.
An Atlas of Clouds (2006) è composto da sei fotografie di nuvole che imperturbabili attraversano i cieli di altrettanti paesi africani in cui Jaar ha lavorato.
Nel film Muxima (2005), che chiude la mostra, Jaar raccontata con poetica dolcezza come l’umanità continui sempre, anche nelle più ardue situazioni, a vivere e a sentire. Girato in una Angola che cerca di riprendersi dalla guerra, Muxima – significa cuore – è una sorta di poema visivo e sonoro: la musica, sei versioni di un canto popolare locale, alterna momenti malinconici a ritmi più vivaci, accompagnando immagini che rivelano a un tempo la ricchezza del paese, le tracce della storia passata e il presente di speranza.

All’Hangar Bicocca saranno visibili opere di forte impatto e di grande dimensione. Si comincia con A Logo for America, un progetto del 1987 di parole e immagini sul significato della geografia, realizzato per un edificio di Times Square a New York: Jaar ha prodotto un intervento animato proiettato ogni sei minuti, circondato dalle consuete pubblicità di prodotti, creando una sorta di aritmia nelle insistenti pulsazioni della cultura commerciale. Segue una delle installazioni più importanti di Jaar, The Sound of Silence del 2006: una grande scatola al cui interno c’è uno schermo e all’esterno una parete di neon. Per entrarvi occorre attendere che l’apposito segnale rosso diventi verde. Si assiste quindi a un video di otto minuti dove su schermo nero scorrono delle frasi in bianco con la storia del fotografo sudafricano Kevin Carter, autore di una foto scioccante realizzata in Sudan nel 1993, dove una bambina denutrita e prossima alla morte arranca a quattro zampe, scortata da un avvoltoio che attende la sua fine. Carter vince il Premio Pulitzer per questa immagine che ha fatto il giro del mondo, ma pochi mesi dopo si toglie la vita, oppresso dalle accuse di aver preferito realizzare la sua foto, piuttosto che aiutare la bambina a sopravvivere. Un momento prima che compaia la foto si viene accecati da due potenti flash. “I media sono diventati un business come un altro” – dice Jaar – facendoci riflettere sulla nostra responsabilità di consumatori.
L’opera seguente Untitled (Water) del 1990 presenta sei lightbox con scorci di mare nella baia di Hong Kong, dove, durante gli anni Ottanta, approdavano gli esuli vietnamiti alla ricerca di un’esistenza migliore e che venivano invece arrestati e imprigionati. Di fronte a questi scorci marini, trenta specchi riflettono i volti di questi esuli disperati.
Segue un’altra installazione di grande impatto: Lament of the Images I, presentata nel 2002 a Documenta 11 (Kassel) che denuncia, con la lettura di tre testi seguiti dall’esperienza di una luce accecante emessa da un grande schermo bianco, una cecità metaforica ovvero “l’impossibilità di vedere la realtà al di fuori dei media”, l’indisponibilità delle immagini, il loro sequestro e la loro completa gestione da parte dei poteri pubblici e privati.
Geography = War è invece una installazione del 1991 che fa anch’essa riferimento al traffico dei rifiuti tossici tra Italia e Nigeria, con vari bidoni neri contenenti del liquido scuro su cui si affacciano scatole luminose da cui ci guardano volti di bambini e contadini africani, a testimonianza dell’emergenza umanitaria che l’azione illegale italiana provocò. Introduction to a Distant World è un video del 1985 che presenta due tipi di documenti contrastanti: da un lato una alternanza di primi piani sui volti dei minatori, i loro gesti, i loro passi cadenzati e di piani allargati sul lavoro in miniera, dall’altro inserti muti con l’indicazione del prezzo dell’oro nelle diverse sedi delle borse di tutto il mondo. Out of Balance è una installazione del 1989 che riguarda il mondo dei minatori in Brasile: sei lightbox oblunghi sono appoggiati a diverse altezze sui quattro muri di una sala, su ciascuna di queste “finestre” appare il viso sporco di fango di un minatore. Ogni ritratto è come confinato in un angolo del fondale luminoso bianco che occupa la maggior parte dello spazio: ogni volto emerge dalla luce come segnale e ci allontana dalla abituale visione senza sforzo, aiutandoci invece a cogliere il reale significato di ciò che vediamo.
E infine nel Cubo dell’Hangar Bicocca, uno straordinario spazio quadrato con una cupola circolare da cui passa la luce solare, sarà posata l’installazione Emergencia del 1998, una sorta di piscina nera e liquida, da cui a poco a poco emerge la forma inconfondibile dell’Africa, per tornare a riflettere – e soprattutto ad agire – sull’emergenza sociale e umanitaria del continente nero.

La mostra di Alfredo Jaar It Is Difficult sarà affiancata dal progetto pubblico Questions Questions ideato per l’occasione, calibrato sulla città di Milano e sull’area circostante, che si avvale della collaborazione di IGPDecaux e di MBA Group.
Tra i maggiori rappresentanti di una pratica dell’arte critica, legata alle possibilità di una trasformazione responsabile della società, Jaar si interroga sull’impegno dell’arte e della cultura, sulla loro prontezza nell’interagire con il contesto sociale e politico più vasto e nel rispondere alle istanze fondamentali della contemporaneità.

Il progetto pubblico prende la forma variegata di uno spazio collettivo di confronto a più voci sul senso del fare cultura sentendosi parte di un’epoca e di una collettività. In particolare si articolerà in un’affissione pubblica che, adottando modalità e supporti della pubblicità, insinuerà invece nella città una serie di domande su “cos’è la cultura”. Domande relative al ruolo della cultura nella società attuale verranno inoltre proposte al pubblico tramite altri mezzi di comunicazione mediatica e saranno alla base di una serie di incontri pubblici nonché di un convegno internazionale (il 21 gennaio 2009 al Teatro Litta) che riunirà figure autorevoli di studiosi e di esperti in campi diversi del sapere. Partendo dal presupposto che l’arte coltivi sensibilità critica e rapporto con la politica, l’artista mira dunque ad attivare un dibattito sul ruolo della cultura sia in quanto espressione del tempo che viviamo in tutte le sue complessità, le sue diversità, e le sue urgenze, sia come vero e proprio agente di trasformazione e motore di sviluppo sociale.

Il 4 ottobre alle ore 11 presso lo Spazio Oberdan, in occasione della Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI, si terrà un incontro con Alfredo Jaar sul tema “Arte e politica”.


Alfredo Jaar. It Is Difficult
dal 3 ottobre 2008 al 25 gennaio 2009
Spazio Oberdan, viale Vittorio Veneto 2, Milano
dal 3 ottobre 2008 all’11 gennaio 2009
Hangar Bicocca, via Chiese 2, Milano
orari: tutti i giorni 10-19, martedì e giovedì fino alle 22, chiuso il lunedì
Biglietto Spazio Oberdan o Hangar Bicocca: intero €4, ridotto €2,50
Biglietto unico: intero € 6, ridotto € 3
Catalogo: Edizioni Corraini

All’Hangar Bicocca sono previste visite guidate gratuite per le scuole (info: lab@hangarbicocca.it).
Allo Spazio Oberdan si terranno visite guidate per le scuole (prenotazioni a didattica@provincia.milano.it) e visite guidate per tutti ad orario fisso (il martedì e giovedì alle 19, il sabato alle 17 e la domenica alle 11) al solo costo del biglietto d’ingresso.
Si ricorda inoltre che il primo martedì di ogni mese l’ingresso allo Spazio Oberdan è gratuito.
La mostra è accompagnata da un catalogo</b< edito da Edizioni Corraini, con saggi di Gabi Scardi, Bartolomeo Pietromarchi, Paul Gilroy, Paolo Fabbri, schede a cura di Nicole Schweizer.

La mostra di Alfredo Jaar It Is Difficult è realizzata con la collaborazione tecnica di:
Gemmo, per la realizzazione delle opere The Sound of Silence e Lament of the Images
Informazioni al pubblico:
Spazio Oberdan, tel. 02 77406300/6302; www.provincia.milano.it/cultura
Hangar Bicocca, tel. 02 853531764; www.hangarbicocca.it

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