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Collettiva alla Galleria Dellapinaartecontemporanea di Pietrasanta

di - 16 Aprile 2008

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[16|04|2008] |||arte contemporanea/collettiva

Collettiva alla Galleria Dellapinaartecontemporanea di Pietrasanta

J O S A P H A T

inaugurazione sabato 19 aprile 2008 | ore 18:30 | a cura di alberto zanchetta | dellapinaartecontemporanea | pietrasanta

Paul Valéry: «Niente giustizia senza spettatori. Il massimo della giustizia può esserci dunque solo nella valle di Josaphat, di fronte al massimo possibile di spettatori. È il pubblico che conta, non il processo».

Cristina Campo: «Che la valle di Giosafat, il teatro degli estremi responsi evocato da Gioele, sia in realtà una modesta conca a est di Gerusalemme traversata dal filo delicato del Cedron, ciò non è meno terrificante di quel “rotolo avvolto” al quale, con procedimento inverso, riducendolo al cerchio di dieci dita, Gioele stesso assimila gli inconcepibili cieli nell’ora in cui lo spazio avrà fine».

Secondo il profeta Gioele, la valle di Josaphat/Giosafat – il cui nome significa “Il Signore giudica” – è il luogo dove tutte le genti saranno giudicate.
Connessa al tema della vanitas, la mostra intende stabilire un’equivalenza tra le opere degli artisti e alcuni significativi oggetti di design (nelle nature morte del Seicento i significati allegorici sulla transitorietà delle cose terrene o sulla inevitabilità della morte erano affidati all’uso di oggetti, ai quali era attribuita una connotazione simbolica), creando un’osmosi tra la mania del collezionismo più colto e il nostro quotidiano “attaccamento alle cose”. In quest’ottica le opere degli artisti e dei designer potranno farci riflettere sulla fragilità dell’esistenza e sull’intimo rapporto che abbiamo con la realtà.

Associato al carattere effimero e alla vacuità delle cose terrene, il concetto della vanitas ha come emblematico indizio la presenza del teschio, spesso e volentieri messo in relazione con libri o cartigli che racchiudono lo scibile umano (quello della morte è un sapere di cui solo l’uomo è reso partecipe). Or dunque, in un dipinto di Giovanni Manfredini ritroveremo il calco di due mani mentre sorreggono, in atteggiamento votivo, un vecchio libro su cui figura l’effige del teschio, esplicito rimando al memento mori e al “tema della vita” che da sempre intride la ricerca dell’artista.
Il vassoio mao mao di Massimiliano e Doriana Fuksas – una sottilissima lamina di acciaio piegata che ricorda il razionalismo del brutal-design e l’austerità della scultura minimalista – farà invece da “plateau” ad un’imminente decapitazione, preambolo alla comparsa del suddetto teschio. Un’ascia, che Nicola Bolla ha incastonata di gioielli Swarovsky, starà a indicare l’arma del boia così come i temporalia che la morte ci porta via. L’esuberante sfavillio della scure, di un bianco cristallino solo in apparenza innocuo/innocente, si pone dunque in antitesi con le forme sobrie e povere del vassoio color rosso sangue, quasi volesse prefigurare l’imminente esecuzione.
Altro elemento caratteristico è il vaso con i fiori, inteso a simboleggiare la brevità e la fragilità dell’esistenza. Il celebre vaso Savoy di Alvar Aalto e la New Wave di Ross Lovegrove (le cui forme topologiche si ispirano rispettivamente al paesaggio dei laghi e alla risacca del mare) fungeranno da monito: privati dell’acqua, e senza la presenza icastica dei fiori, diventeranno oggetti scabri e perturbanti. Un quadro di Luigi Carboni presterà allora le sue forme ai decori della natura con una maglia intricatissima di infiorescenze che restituiscono vitalità e varietà al mondo vegetale, sfarzosità che sarà però confutata dal luttuoso nero-pece che ricopre la superficie del dipinto.
Poiché vacuità e amor proprio sono temi che si corteggiano, non poteva mancare la presenza di uno specchio; la vanità è infatti generalmente raffigurata come una donna ignuda che si pettina davanti a uno specchio. La silhouette della specchiera Milo di Carlo Mollino, ripresa dalla Venere di Milo, è l’esasperazione del guardare e dell’essere guardati, con il corpo ridotto a nudo torso-lo umano, senza braccia e gambe, ma soprattutto (e in contiguità con le precedenti opere) senza testa. Allo stesso modo, Maurizio Cannavacciuolo pone l’accento sulla precarietà delle cose e sulla continua trasformazione della loro identità attraverso le nostre interpretazioni; l’artista magnifica i dettagli che affollano la realtà di tutti i giorni fino a farne motivi decorativi, mettendoli poi alla berlina con un’arguta ironia.
In questa con-fusione tra arte e design, le sculture di Adriano Persiani tendono a dissimulare la foggia dei mobili e dei complementi d’arredo introducendovi dei caratteri sessuali… quell’erotismo che Bataille riteneva essere un tutt’uno con la morte. Sedie e tavoli sono quindi interpretati da Persiani attraverso l’uso di materiali banali, in un surrettizio gioco di rimandi ed allusioni.
La miscellanea di opere e di oggetti volge al termine con il romanzo Der Tod in Venedig di Thomas Mann. L’idea del transeunte è qui incarnata dal giovane Tadzio (nel libro sono stati sottolineati tutti i passi che lo descrivono), “oggetto del desiderio” che induce Gustav Aschenbach a un terribile epilogo. Mors omnia vincit?

NICOLA BOLLA è nato a Saluzzo nel 1963, vive e lavora a Torino

MAURIZIO CANNAVACCIUOLO è nato a Napoli nel 1954, vive e lavora a Cortona

LUIGI CARBONI è nato a Pesaro nel 1957, dove vive e lavora

GIOVANNI MANFREDINI è nato a Pavullo nel 1963, vive e lavora a Bazzano e Milano

ADRIANO PERSIANI è nato a Bologna nel 1972, vive e lavora a Bologna

mao mao, Milo, New Wave, Savoy courtesy collezione deposito arte Alberto Zanchetta


Josaphat
NICOLA BOLLA alvar aalto MAURIZIO CANNAVACCIUOLO, massimiliano & doriana fuksas LUIGI CARBONI ross lovegrove, GIOVANNI MANFREDINI carlo mollino ADRIANO PERSIANI
+ thomas mann
Fino al 31 maggio
Galleria DELLAPINAARTECONTEMPORANEA
Piazza Duomo 11 – Pietrasanta (Lucca)
www.dellapinaarte.com

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