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Il visionario mondo di De Chirico a Palazzo Magnani di Reggio Emilia

di - 4 Marzo 2011

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[02|03|2011] |||arte moderna/mostra

Il visionario mondo di De Chirico a Palazzo Magnani di Reggio Emilia

GIORGIO DE CHIRICO. DIPINTI 1910-1970.
UN MAESTOSO SILENZIO

dal 5 marzo | fondazione palazzo magnani | reggio emilia

L’enigma dell’arte *

Manichini come statue, statue come ombre, muse come statue di gesso, piazze come stanze con pavimenti di legno, e il visionario mondo dechirichiano si presenta così in tutta la sua enigmaticità e potenza.
Con grande maestria De Chirico dipinge oggetti reali, palazzi e statue, con limpido rigore dà forma e sostanza ad architetture imponenti, torri, portici, ciminiere, colonne e manichini irti di righelli e squadre, che delineano però, come le quinte di un teatro, spazi inaccessibili e impraticabili. Con precisione allinea accanto a quelle architetture forme di pane, biscotti, guanti, trottole, scatole e i più svariati oggetti; ma scardinando ogni prospettiva, isolando ogni oggetto in sé, quasi fosse lì per caso, svuota di significato ogni cosa e quegli oggetti non riusciamo più a coglierli nella loro identità, facendo così scomparire, come per magia, quanto ha disposto sulla tela.
Egli disarticola ogni immagine accostandola al suo contrario, al suo altro da sé e la piazza, per sua natura luogo d’incontro, assemblea, mercato, spettacolo, resa deserta e svuotata di ogni sua funzione, diviene un luogo assurdo, inconoscibile, in cui scorci di strade impercorribili ci respingono in labirinti senza fine, ci precipitano in abissi, tra continui slittamenti, scarti, ribaltamenti di pensieri che ci rimandano ai miti classici, tra Arianne e oracoli, a un presente tra fabbriche e treni e a un futuro tra torri-grattacieli e robot-manichini; a una nuova dimensione in cui mito e futuro si intrecciano in un continuo gioco di specchi che non risolve alcun enigma, ma che anzi moltiplica all’infinito. La piazza diviene così un’emblematica cavea ove presente, passato e futuro si intersecano e intrecciano, dando luogo a un non-tempo, un tempo sospeso in cui ci smarriamo; e la tela diviene, per così dire, il “sipario” di una nuova dimensione, metafisica, ovvero oltre la realtà delle cose; velario di enigmi che non possiamo, non osiamo e in fondo non vogliamo svelare.
“Quando / la notte è a svanire / – recita Ungaretti nella sua lirica Nostalgia – su Parigi s’addensa / un oscuro colore / di pianto. / In un canto / di ponte / contemplo / l’illimitato silenzio / […] / e come portati via si rimane.” Quali migliori e più sublimi parole per esprimere quel senso di angoscia e malinconia che De Chirico riesce a concretizzare rendendo visibile e quasi palpabile quell’illimitato silenzio che pervade le sue piazze e quell’aura di mistero per cui come portati via si rimane…
“Dipingere l’aria – scrive De Chirico – è molto difficile, dipingere l’aria vuol dire dare una tale plasticità, un tal volume, una tale forza della forma alle cose che […] gli oggetti appaiano come sospesi, immobili, ma vivi nell’aria che si sposta, che si muove, mentre le cose sembrano fermate, immobilizzate come per effetto di magia”. Ed è questa sospensione magica che De Chirico realizza in modo supremo, questa presenza-assenza che, prendendo corpo tra muse, manichini, statue e oracoli, arcani dèi imperscrutabili, avvolge ogni cosa in una sublime e inquietante atmosfera.
Come l’aria che certo non vediamo, ma ben sentiamo, così questa impalpabile interiorità, venendo ad assumere i precisi contorni delle cose, inverandosi in esse, divenendo con forza una presenza, è la vera protagonista della scena. La piazza quale palcoscenico dunque, ove s’addensano enigmi, oracoli e Arianne il cui filo, però, non dipana certezze, aggrovigliandosi invece entro arcate di portici in una fuga senza fine, tra ombre incombenti, treni silenziosi, muse e manichini che ci osservano e ci scherniscono.
“Il manichino è un oggetto che possiede a un dipresso l’aspetto dell’uomo, ma senza il lato movimento e vita; il manichino è profondamente non vivo e questa sua mancanza di vita ce lo rende odioso”, scrive De Chirico e prosegue: “Il suo aspetto umano e al tempo stesso mostruoso, ci fa paura e ci irrita… il manichino non è una finzione, è una realtà, anzi una realtà triste e mostruosa. Noi spariremo, ma il manichino resta.” Il manichino è l’emblema di questa nostra tormentata umanità che si scopre d’improvviso sull’abisso di un mistero impenetrabile che cancella di colpo ogni immagine ed esistenza, è la tragica proiezione della nostra non-esistenza, una tangibile alterità che ci sovrasta e annienta, che continuerà a governare tempo e spazio mentre noi cesseremo di esistere.
Con grande sapienza e sottile ironia Jean Cocteau accosta Picasso a De Chirico e scrive: “Picasso inganna lo spirito. Voglio dire che, per acchiappare i nostri uccelli, ha inventato un’uva degna. De Chirico usa il trompe l’oeil (l’inganno ottico) così come un criminale rassicura la vittima: non abbia paura. Ecco qua c’è un campanello, la finestra è una vera finestra, la porta è aperta, basta chiamare…”.
L’inganno di Picasso consiste nel frantumare l’immagine in mille pezzi per ricostruire la tridimensionalità dell’oggetto nella bidimensionalità del piano della tela, come in un mosaico, ma con le tessere scompaginate, così da realizzare una nuova spazialità non più prospettica. In sostanza, egli scompone l’oggetto nelle sue parti per giungere a una nuova unità che consenta la totale com-prensione dell’oggetto. L’inganno di De Chirico, invece, sta nel mettere insieme gli oggetti più disparati in un contesto del tutto innaturale per svuotare l’immagine di ogni significato, rivestendola di un’aura di mistero.
Come nell’Enigma della partenza, ad esempio, capolavoro del 1914 presente in mostra, nel quale sono quelle casse abbandonate, in primo piano a sinistra nel quadro, a suggerirci forse una partenza imminente? O è la vela che, in perfetta diagonale, si scorge in lontananza tra le arcate del portico a destra? O l’ombra misteriosa, accanto a quella della statua, generata forse da un oracolo, un dio, un manichino che, perfettamente allineata, conduce lo sguardo ora alle casse ora alla vela? O forse è la statua, al centro, che con la sua ombra esasperatamente allungata s’interroga dinnanzi a un mare invisibile, sovrastato non da un faro ma da una ciminiera, che si erge sopra ogni cosa e incombe sul portico che, inclinato in modo abnorme, accelera lo sguardo in una fuga di arcate verso un cupo cielo verdastro? E che dire della figura che s’intravede, dalla finestra aperta, in alto sopra l’arcata a destra che guarda, attraverso la finestra opposta, il cielo, il mare, la piazza forse, mentre un illimitato silenzio avvolge ogni cosa?
Statue, muse, manichini, piazze, e la Metafisica dechirichiana si dispiega in tutta la sua epica grandezza nel rappresentarci oggetti reali, per trasmetterci, oltre la realtà delle cose e delle loro apparenze, ben altre sensazioni e sentimenti. De Chirico non dipinge la realtà che ci appare, il mondo esterno, ma la nostra interiorità; non dipinge i sogni che, si badi, costituiranno il mondo dei surrealisti, ma quei sentimenti che ci avvolgono e ci pervadono e che proiettiamo poi sulle cose: Melanconia di un pomeriggio, Mistero e melanconia di una strada, Nostalgia dell’infinito o, appunto, L’Enigma della partenza, non a caso titoli di alcune sue opere.

Roberto Alberton
Curatore della mostra

* Estratto dal testo in catalogo


Giorgio De Chirico. Dipinti 1910-1970. Un maestoso silenzio
Dal 5 marzo al 1 maggio 2011
FONDAZIONE PALAZZO MAGNANI
Corso Garibaldi, 31 – 42121 Reggio Emilia
Tel. + 39 0522 444 406 /408 – Fax + 39 0522 444 436
info@palazzomagnani.it
www.palazzomagnani.it

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