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Progetto per un’antologica. Di Renato Mambor

di - 6 Febbraio 2004

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[06|02|2004] |||arte contemporaneamostre

Progetto per un’antologica. Di Renato Mambor

RENATO MAMBOR – PROGETTO PER UN’ANTOLOGICA II

inaugurazione sab 7 febbraio | ore 18.30 | galleria mascherino | roma | a cura di barbara martusciello

A 45 anni dalla storica mostra Mambor Schifano Tacchi (gennaio 1959) alla Galleria Appia Antica di Roma, esposizione che ha aperto idealmente una stagione artistica romana di straordinario successo, la Galleria Mascherino propone Renato Mambor – Progetto per un’Antologica II (dall’Uomo statistico a Renato d’Egitto), secondo appuntamento di una serie di mostre che la Galleria dedicherà all’artista. Mambor è un protagonista della scena artistica sin dagli anni ‘60, quando a Roma si è formata una generazione di artisti e intellettuali, amici e compagni di avventura, che ha lasciato un’impronta indelebile nella ricerca culturale italiana.

Dopo il grande successo della prima parte di questo progetto (dicembre 2002), la Galleria Mascherino propone questo secondo appuntamento con Renato Mambor che, come il precedente, è mirato a una rilettura del lavoro di Mambor in ambito concettuale visivo, del quale egli è stato un precursore e che è di grande importanza per le ultime generazioni di artisti; da ciò l’interesse per la sua opera da parte della Galleria Mascherino, generalmente attenta alle sperimentazioni di artisti giovanissimi. La mostra, strutturata come una sorta di catalogo a parete con schede esplicative delle varie fasi del lavoro di Mambor, si sviluppa in forma antologica per considerare in maniera quanto più completa possibile la lunga ricerca dell’artista dal 1957 al 2004. In questo secondo appuntamento si è inteso approfondire il lavoro di Mambor focalizzando l’attenzione sulla presenza iconica dell’Uomo che ha contraddistinto la sua opera a partire dal 1961 e che, passando per il teatro e le azioni fotografate, è stata ribadita anche nella più recente produzione. Negli appuntamenti successivi verranno invece sottolineati alcuni momenti e aspetti particolari del suo progetto artistico.

Alla fine del 1959 Mambor apre lo studio a Roma insieme a Tano Festa. In questo periodo realizza dei quadri costruiti come oggetti con legno, chiodi, colla e vernici industriali. Utilizza smalti compatti stesi in campiture monocrome su tutta la superficie per eliminare ogni valore dell’azione, al fine di realizzarne l’azzeramento linguistico e la completa spersonalizzazione, postulato di tutta una generazione di artisti romani e non. Nel 1961 realizza Signori, opera nella quale compare, per la prima volta nelle sperimentazioni dei giovani artisti romani di quel periodo, la presenza iconica dell’Uomo. Quest’opera, che apre la mostra, può considerarsi un precedente della serie successiva del 1962, quando la sua attenzione viene attirata dall’omino stilizzato del segnale del passaggio pedonale e dall’uomo statistico, una figura umana bidimensionale che, trasportata nei suoi quadri, simboleggia l’uomo quantitativo, senza volto e caratteristiche individuali, dunque con una connotazione di rappresentazione umana oggettiva. Di questa serie è esposta una grande tela del 1962, Uomini Grigi. Alla fine del 1962 questa figura statistica assume la forma di timbro, consentendo una moltiplicazione dell’immagine che Mambor utilizza per realizzare dei quadri che ricostruiscono ambienti o spazi urbani. Espone queste serie per la prima volta alla Galleria La Tartaruga nel febbraio 1963 nella ormai storica mostra 13 pittori a Roma e nell’aprile dello stesso anno nella mostra Lombardo Mambor Tacchi. In mostra una rara tela del 1963, Stadio.
Nel 1964 inizia a interessarsi ai disegni dei rebus enigmistici. Questi hanno la caratteristica di essere disegnati in modo da rappresentare nella maniera più fedele possibile un vocabolo, costituendo quindi una specie di definizione grafica di un nome. Mambor utilizza questi disegni come se attingesse a una sorta di vocabolario iconico nella serie di quadri che chiama Ricalchi, nei quali il suo interesse non è rivolto alla rappresentazione di realtà oggettuali, bensì al loro essere equivalenti iconici del nome convenzionalmente accettato per quell’immagine, perché, per usare le sue parole, “l’immagine non è il nome, il nome non è la cosa, la cosa non è l’essenza“. Per chiarire il suo disinteresse verso la rappresentazione oggettiva Mambor appoggia le immagini sulla tela grezza, senza preparazione, per evitare ogni forma di contaminazione espressiva, disegnando solo quei tratti che delineano la morfologia essenziale delle figure e ricoprendole poi con campiture monocromatiche che lasciano trasparire solo le linee fondamentali del segno al fine di realizzarne un completo svuotamento. Anche le sequenze e gli accoppiamenti delle immagini sono utilizzati per chiarire che il suo interesse è solo nel rapporto tra la definizione grafica e il nome che questa rappresenta. Infatti talvolta utilizza serie di immagini incoerenti tanto nella narrazione quanto nella resa prospettica e dimensionale proprio per evidenziarne la loro unica essenza comune, quella di vocaboli in forma iconica, come nella grande tela, recentemente ritrovata e ora nuovamente esposta, Nudo e palazzo, del 1965; oppure, al contrario, utilizza sequenze perfettamente coerenti quando il suo interesse è nell’evidenziare la definizione visiva di un gesto o di un verbo come, ad esempio, nel quadro in mostra Il gesto del sonno del 1965, già presentato alla Tartaruga e nell’esposizione Pop Art e ricerca oggettuale a Roma negli anni sessanta (1981). Questi lavori, realizzati tra il 1964 e il 1966 ed esposti nel 1964 al Premio La Tartaruga, nel 1965 al Premio Nettuno e sempre nell’aprile dello stesso anno nella personale alla Galleria La Tartaruga presentata da Marisa Volpi, evidenziano Mambor come precursore del concettuale che di lì a poco si sarebbe sviluppato e ne chiariscono le distanze con l’arte Pop alla quale era stato assimilato negli anni precedenti.
Nel ‘66 Mambor, insieme a Mario Ceroli e Cesare Tacchi, si trasferisce per alcuni mesi a New York, chiude lo studio di Roma e al ritorno si trasferisce a Genova dove nel 1967 espone alla Galleria La Bertesca nella storica mostra Arte Povera e Imspazio, a cura di Germano Celant. Sempre a Genova nel 1968/69 inizia la serie delle Azioni Fotografate tra le quali La fontanella di via Barletta, Araldica mobile, Faccia bianca e altre, esposte nella sua personale alla Galleria La Bertesca nel maggio 1969 e riproposte in questa mostra nelle stampe originali.
Nel 1968 Mambor prosegue la sua analisi sulla pittura trasferendola negli Itinerari (Rulli), opere dipinte attraverso le impronte lasciate dal colore di cui è intriso un utensile di gomma, di quelli che comunemente si trovano in commercio e che decorano le pareti come finta tappezzeria, grazie al quale Mambor allontana ancora una volta il fatto a mano libera, il segno calligrafico che può rivelare la soggettività dell’artista che egli rifiuta categoricamente in questa fase della sua ricerca. Questa serie di lavori si estenderà, sempre in quegli anni, ad eventi in bilico tra i diversi linguaggi della pittura, della fotografia, dell’happening, del teatro e alle vere e proprie azioni fotografate. Di quest’esperienza sono in mostra alcune rare fotografie originali realizzate nello studio di Genova.
Nel 1970 crea La difesa (Biliardino), un’opera scultorea e installativa che fu esposta nella storica mostra Vitalità del negativo curata da Achille Bonito Oliva al Palazzo delle Esposizioni. L’opera è stata poi successivamente riambientata nell’antologica Relazione al Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea di Roma nel 1996. Viene oggi riproposta in mostra nella configurazione originale. L’interesse per la sagoma umana registrata attraverso il pretesto del gioco del calcio si ritroverà più volte in Mambor e si caratterizzerà nel 1979 con l’installazione-evento Allevamenti di campi da football realizzata a Roma in via Sabotino.
Nel 1983 rappresenta al Metateatro di Roma Gli Osservatori, indagine che poi confluirà, alla fine degli anni ‘80, quando ritorna alla pittura, nel ciclo dell’Osservatore e le coltivazioni, presentato nel 1991 alla Fondazione Mudima a Milano e nel 1993 al Palazzo delle Esposizioni di Roma, anno della sua partecipazione alla Biennale di Venezia. Mambor prosegue in questa serie nel suo sistema di evidenziamento linguistico, analizzando la specificità del fare e del vedere, del creare e del contemplare. In mostra è esposta l’opera Gli orditi della terra, già presentata al 54° Premio Michetti.
La mostra prosegue con opere della più recente produzione dell’artista tra le quali: Mediatore azzurro, nella quale converge l’esperienza dei Rulli, Uomo geografico, Agente, Testimone oculare, Uomo-torre, dove torna preponderante la presenza problematica e linguisticamente affrontata dell’Uomo.
La mostra comprende inoltre due opere della serie Potatore, appositamente realizzate, dove l’esperienza visiva e cognitiva viene riformalizzata in termini pittorici, congiungendo realtà e rappresentazione, e si conclude con altri due lavori ideati per la galleria: l’opera a parete Renato d’Egitto, che si anima mediante i movimenti dello spettatore, e la grande scultura Il praticante e la lingua della Terra, opera che sottolinea la scelta metodologica dell’artista, interessato all’analisi dei meccanismi che determinano emozioni e azioni umane e che regolano la realtà.


Galleria d’arte
MASCHERINO
Via del Mascherino 24, 00193 ROMA
Tel.-fax 06/68803820 – 338/2699414
E-mail: mascherino@iol.it
Mostra: Renato Mambor – Progetto per un’Antologica II (dall’Uomo statistico a Renato d’Egitto)
Inaugurazione: sabato 7 febbraio 2004 alle ore 18.30
a cura di Barbara Martusciello
Orario di apertura: dalle 16.30 alle 19.30 (escluso lunedĂŹ e festivi)
Fino al 10 aprile 2004

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