Un allestimento artico, un considerevole numero di trattamenti, lo sfruttamento del corpo fino all’assottigliamento del brandello, il ripiegamento della cosa intoccabile: ecco “Aletheia” di Berlinde De Bruyckere (Gand, 1964) alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, con la curatela di Irene Calderoni.
Su bancali grezzi, nell’arsura luminosa che porta il sale, è impossibile contare il numero di pelli, ammassate l’una sull’altra, stese, tirate. Un lager di pelli d’animale (vorrei dire corpi su corpi, ma non riesco) in cui ci si può camminare in mezzo, come si cammina per il mondo. Ma più ci cammini più ti immobilizzi. L’installazione produce silenzio: è tutto bianco, assiderato, anche le pareti.
L’installazione ha una crudeltà, ma non è solo in ciò che vedi. È nascosta da qualche parte nel colore tenue. Le pelli appaiono, in alcuni punti, candide, e quel candore altro non è che il sospetto della minaccia estrema. La minaccia non è la morte ma, paradossalmente, la vita. È il sospetto che sotto quell’accatastamento, il trauma abbia fatto il suo dovere: ha lasciato un livido, una traccia non smacchiata.
La carne non la elimini, nemmeno con un rito come questo lavoro sottende. Sotto quel rosa che sarebbe destinato a essere assorbito dal bianco assiderato, si apre il varco del sospetto di qualcosa di vivente.
Riconsiderate la vostra vita e il vostro rapporto con l’immane. Con la grandezza anche del vostro niente. Perché questo lavoro riformula un linguaggio: siamo in grado di essere all’altezza del disastro a cui abbiamo lavorato? Sosteniamo massacri, macelli, torture, calci, e l’impatto della violenza sul corpo, il sopruso, con l’irrazionalità di accettare questo come l’insieme delle forze del mondo. Che postumo si aggira in queste strade?
Così ogni pelle mi sembra uno strazio di questa incarnazione continua. Che per quanto tiri, pulisci, assembli ritorna a galla come memoria del mondo, una forma ineliminabile che compatta tutto, uno strato, un’alleanza di fibre, un organismo. Una enorme conseguenza.
In questo linguaggio non solo lo spettatore è testimone di quello che l’artista vede e produce, ma soprattutto l’artista è il recettore delle forze tremende che muovono, al di là del bene e del male, il nostro secolo. Che più lo scarni nella sua singolarità, e più è fatto di masse.
Tiziana Cera Rosco
Dal 1 novembre 2019 al 15 marzo 2020
Berlinde De Bruyckere. Aletheia
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino
Orari: giovedì: 20-23 (ingresso libero); venerdì-sabato-domenica: 12-19
Info: www.fsrr.org
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