Teatro contemporaneo: 1989-2019 di Valentina Valentini è scritto e si legge con grande passione e leggerezza, una leggerezza precisa e determinata. Trent’anni di ricerche, di pratiche teatrali e performative dell’emisfero occidentale sono attraversati con rapidità (il libro è leggero, nemmeno 185 pagine), chiarezza di visione e affetto.
Lo sguardo dell’autrice su questo terrain vague di difficile mappatura, così vicino e così lontano allo stesso tempo, è innanzitutto quello di una spettatrice appassionata, che dopo quasi quarant’anni di ricerca continua a fare ciò che ama di più: osservare, cercare di entrare in empatia con ciò che lo sguardo incontra e cercare, cercare senza pace ciò che l’arte nel suo stato di grazia riesce ancora a garantire: epifanie.
Il campo è presto sgomberato da pesantezze teoriche (in particolare quelle decostruttiviste) e classificazioni di natura entomologica: fin dal primo capitolo viene dichiarata esaurita la spinta rivoluzionaria dei performance studies, e dunque subito viene posta la domanda che dà il via allo studio: quale sguardo posare oggi sulla postdisciplinarietà che contraddistingue la produzione artistica contemporanea (non solo quella legata alla performance)?
«Bisogna restringere il campo su oggetti specifici e osservarli dall’ottica di saperi scientifici plurali, salvaguardare valori etici ed estetici, sgretolare i miti della contemporaneità», afferma Valentini. In un paesaggio sempre più mobile e diffuso dove la fatica di tracciare nuove rotte fa il paio con quella di continuare a credere in vecchie mappe, bisogna tornare a concentrarsi sugli oggetti specifici, ovvero sugli spettacoli. Ed è solo da questa osservazione curiosa e appassionata dei singoli percorsi di ricerca, che nel libro affiorano uno dietro l’altro senza soluzione di continuità, rotture, fratture, cambi di rotta, oppure filiazioni, continuità, nuove tradizioni.
Trent’anni di storie, visioni e drammaturgie non sono pochi, tuttavia qui sembrano scorrere senza tempo: il luogo del libro, a dispetto del tentativo di contestualizzazione storica tracciata nel primo capitolo, è un luogo senza tempo, è IL luogo senza tempo della ricerca e della creazione. Guidata dal faro dei suoi inaffondabili (e inarrivabili) anni ’70 e delle neoavanguardie che in quegli anni fiorirono, Valentini si sposta di territorio in territorio, di isola in isola con il solo scopo di capire come si sta muovendo la ricerca performativa attraverso l’analisi degli spettacoli incontrati. Chiaramente, svolgono una funzione importante anche il rapporto con gli autori, lo studio di riviste come “Performance Research”, il confronto con la tradizione critica, ma al cuore di tutto, resta il fatto teatrale, l’opera dell’artista. E’ intorno ad essa, agli spettacoli, visti dal vivo, riscoperti in video, perfino solamente raccontati, che si struttura l’indagine, un’indagine aperta che non pretende di tracciare linee guida o direzioni, né di dare alcuna risposta. E’ in questa scelta di campo che secondo me risiede il merito nonché il piacere principale di questa lettura. Il libro si apre con un capitolo intitolato Questioni, ma Questioni sarebbe potuto essere il titolo del libro intero. Di quali storie si nutre il teatro di questi trent’anni? Quale rapporto instaura tra la realtà e la finzione? Quale tra memoria, storia e biografia? In che modo questi teatri declinano il rapporto tra artistico e politico? Attraverso quali formati raccontano il loro presente? Cosa incontra Valentini in questo viaggio?
A fine lettura, non si può fare a meno di provare una strana vertigine. Il libro si chiude in maniera inaspettata, quasi in levare. Dopo il capitolo sulle drammaturgie sonore, costruito intorno a tre ritratti dedicati ad altrettanti rappresentanti della cosiddetta pratica vocale “di scuola italiana” (Chiara Guidi, Roberto Latini, Ermanna Montanari), arrivano, ex abrupto, le note e la bibliografia. Come a dire: il viaggio è arrivato fino a qui, si interrompe, ma solo perché siamo arrivati all’oggi, al presente di me che scrivo. Sembra un diario di viaggio. E come tutti i diari, finisce quando finisce.
Di conclusioni, per fortuna, non se ne vedono all’orizzonte, malgrado gli eventi dell’ultimo anno lancino una strana malìa su questo libro, che da un certo punto di vista si ritrova storicizzato suo malgrado e prima ancora del materiale stesso su cui posa lo sguardo: il 2019 che è appena ieri, sembra già lontanissimo. Ma la voce delle tante storie del teatro e delle performing arts di quest’ultimo trentennio, riportate da Valentini nel libro è l’antidoto migliore contro l’atmosfera fin de siècle che si respira in questi giorni nel dibattito intorno al futuro dell’arte e delle arti dal vivo in particolare.
Il futuro come sempre è contenuto nel passato e il miglior pregio dei percorsi tracciati da questo testo è proprio quello di dimostrare che tutto in questa storia si regge sul principio di continuità e trasformazione; che una tradizione del contemporaneo esiste e continuerà ad esistere finché gli artisti non smetteranno di indagare il presente e di trovare il modo migliore per poterlo raccontare.
Vien voglia di leggerne ancora e ancora di queste storie, ogni capitolo del libro, o meglio, ogni paragrafo di ogni capitolo del libro si presenta come l’introduzione ideale di un possibile libro futuro. Come in una sorta di borgesiana biblioteca di babele, nei teatri attraversati da Valentini le visioni si rimandano all’infinito, gli stessi elementi di base (il rapporto con la realtà, la dimensione politica del teatro, il rapporto tra il formato teatrale e quello performativo, l’indagine sul tempo, sullo spazio, sul rito, sul gioco, l’idea di comunità, quella di rivoluzione…) vengono alchemicamente fatti reagire con il sentire del tempo presente. Tutto si rimescola in un incessante movimento fatto di improvvise accelerazioni, inattesi rallentamenti, vicoli ciechi, scoperte, oblii, verità, falsità, grande storia e piccole storie che non smettono di intrecciarsi.
Valentini sembra temere ad un certo punto che gli ultimi trent’anni abbiano messo in crisi radicalmente “la forma teatro, il formato spettacolo, il ruolo dell’autore e quello dello spettatore”; in particolare, in nome di uno schiacciamento dell’immaginario sul reale. Ma a mio parere, non ci crede nemmeno lei fino in fondo. Certo, la questione è controversa e complessa. Certo, non si può negare che il portato rivoluzionario e distruttivo in questo senso delle pratiche avanguardistiche degli anni ’70 si sia affievolito, schiacciato dalla stessa estetica dell’avanguardia che ormai troppo spesso aspira ad investigare e incarnerare la teoria piuttosto che a minare lo status quo del reale. Ma quale sarebbe la forma del teatro che entra in crisi, in questi anni dove tutto sembra entrare in crisi? Non si può negare che negli ultimi trent’anni ci sia stata una crisi della rappresentazione, o meglio, della finzionalità legata al concetto di rappresentazione e che lo scoglio più grande che il teatro si è trovato a dover superare (e lo sta ancora facendo) sia stato quello di trovare una modalità alternativa, di racconto a quella del teatro stesso.
Il focus sul concetto di presenza, il gesto performativo del reenactement, la declinazione del concetto di archivio in termini performativi, la creazione di opere-documento sono solo alcuni dei percorsi attraversati dai teatri di questi anni nel tentativo di affrontare la questione della rappresentazione, cercando da una parte di non perdere il rapporto con la narrazione ma allo stesso tempo salvaguardando la dimensione esperienziale del fatto teatrale. Trent’anni di ricerca e il teatro continua a mettere in crisi il suo statuto: «Il rifiuto della rappresentazione in sé, come atto del rappresentare, è diventato un topos estetico a partire dalla seconda metà del Novecento» afferma la stessa Valentini.
E di certo continuerà a farlo nel futuro immediato, forse reagendo proprio al rifiuto della rappresentazione ormai diventato totalizzante nelle estetiche dei performance studies, gender e queer studies, con un paradossale e chissà, forse salvifico ritorno alla finzione e alla rappresentazione tout court. Valentina Valentini non se ne stupirebbe affatto.
Valentina Valentini, Teatro Contemporaneo 1989 – 2019, Carocci 2020, 196 pagine, 17 euro
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