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Riprendendo le parole di Judith Butler “Se il corpo non è un ‘essere’, ma un confine variabile, una superficie la cui permeabilità è regolata politicamente, una pratica di significazione all’interno del campo della cultura fatto di gerarchia di genere ed eterosessualità obbligatoria, allora quale linguaggio ci resta per comprendere questa attuazione corporea, il genere, che costituisce la propria significazione ‘interiore’ sulla sua superficie?”.
Mezzi busti, sculture dalle grandi e piccole dimensioni -tutte in ceramica- sono vestite da abiti suntuosi e appariscenti che tra pizzi, merletti, sete abbracciano corpi e celano anime impossibilitate ad esprimersi. Sembra come se si muovessero tra banchetti e feste regali dove i diktat riecheggiavano spietati e dittatoriali. Sguardi, gesti e codici di un’espressività tanto silenziosa quanto potente trovava la sua libertà nei retroscena delle corti più fascinose, dove il buio regnava sovrano, le mani si legavano e i cuori battevano all’unisono. Cos’è in fin dei conti un vestito se non una seconda pelle nella quale muoversi? Ma è proprio quella la pelle che si vuole abitare? Oppure, sotto a quelle preziose stoffe magistralmente cucite, c’è una fluidità che va oltre l’apparenza e scava in profondità dove solo un occhio attento e sensibile può arrivare?
La ricerca portata avanti da Emiliano Maggi -tra disegni e sculture- si muove ponendo l’attenzione sulla fluidità di genere. Un genere categorizzato e improntato su canoni conformi ad una società che muove attorno al perno dell’uomo e -non per questo necessariamente giusti- che spesso hanno alterato l’impronta d’immagine che si doveva tenere annientando la natura di un corpo, di un’anima, di una persona.
La ceramica trova forma sotto le mani di Maggi con estrema delicatezza. Le sculture sono rese in maniera superba. Ma chi c’è dietro quei mezzi busti? Chi sono le figure che animano le vignette osé dal tratto fino e delicato? Nessuno lo sa. I volti sono celati da cappelli dalle falde larghe, da personaggi posti in tre quarti e da acconciature ardite. Un eros svelato dove le anime si liberano dalla società e si uniscono alla naturalità. I volti dei busti sono appena accennati, i tratti non sono definiti come i costumi. Gli occhi, specchio delle anime vive non ci sono. Si devono cercare nella lavorazione, nel nostro io.
Nell’ultima sala un susseguirsi di braccia fuoriescono dalle pareti. Queste si muovono con gesti danzanti portandoci all’interno di un ritmo che ora prende e ora lascia, facendoci ruotare tra gonne ampie e guanti baroccheggianti.
Nomas Foundation, fondata dai collezionisti Stefano e Raffaella Sciarretta nel 2008, è anche vincitrice italiana del Montblanc Arts Patronage Awards 2019. Un omaggio che sottolinea la dedizione condotta nella promozione di arte e cultura dove Nomas viene premiata per il suo costante impegno nella ricerca e nella sperimentazione sulla base delle pratiche artistiche contemporanee con mostre, talks, seminari, convegni, laboratori, progetti sull’education, coinvolgendo scuole, università, musei e fondazioni.
Valentina Muzi
Mostra visitata il 24 maggio 2019
Dal 24 maggio al 20 settembre 2019
Emiliano Maggi, THE CLUB
Nomas Foundation
Viale Somalia 33, Roma
Orari: martedì-venerdì, 14.30-19.00
Info: www.nomasfoundation.com – 06 86398381