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ExibInterviste ai direttori: Roberto Lambarelli

di - 22 Maggio 2001

Qual è, per lei, lo scopo di una rivista cartacea?
Sono convinto che esista una grande differenza tra una rivista telematica ed una cartacea. Una differenza che si annida tutta nel fattore tempo. E’ indubbio che il vantaggio della rete è costituito dalla velocità con cui le informazioni vengono raccolte e restituite al lettore. Da questo punto di vista una rivista telematica è imbattibile; ma se l’obiettivo non è più soltanto quello di dare informazione ma, mettiamo, di accompagnarla con una riflessione, o ancor più, con una lettura incrociata degli avvenimenti, allora la rivista cartacea rimane ancora insuperata. Se poi pensiamo ad ‘Arte e Critica’, allora la distanza diventa incolmabile, nel senso che noi fin dal 1993, data di fondazione del periodico, ci siamo impegnati in una riflessione critica, appunto, sul fenomeno arte, in una voluta prospettiva storica. E qui interviene l’altra grande differenza con una rivista telematica destinata ad un rapido consumo piuttosto che ad una durata nel tempo.

Come vede il panorama attuale delle riviste dedicate all’arte italiane e internazionali?
La domanda presuppone una risposta che non troverebbe spazio in questa occasione. In ogni caso, in estrema sintesi, posso dire che le riviste d’arte, pensando l’arte nel suo complesso storico, dalle origini ai nostri giorni, si possono distinguere sostanzialmente in due grandi settori: quelle accademiche e quelle legate al mercato. Fuori da questi due
campi di applicazione non possono esserci altro che riviste-succedaneo, ovvero quelle riviste d’arte che fanno il verso ad altri tipi di pubblicazioni. In Italia, di tali pubblicazioni, ce ne sono almeno due esempi.

A quale target si rivolge con la sua pubblicazione?
La nostra è una rivista di settore che, dunque, si rivolge agli addetti ai lavori: artisti, galleristi, critici, collezionisti, appassionati d’arte e a tutti coloro che credono nell’;arte e nella sua funzione culturale e sociale.
Abbiamo smesso da tempo di ‘inseguire’ i lettori. Crediamo fermamente che l’arte sia uno strumento di elevazione spirituale difficile da utilizzare. Una condizione dello spirito alla quale si accede solo avendo un elevato grado di coscienza che non si conquista dall’oggi al domani, ma solo con la ricerca e la volontà.

Che cosa vuole comunicare con la rivista che dirige?
Alla base di ‘Arte e Critica’ c’è sicuramente la comunicazione di eventi, ma anche il suo immediato superamento. Intendo dire che ogni nostra scelta (articoli, interviste, recensioni di libri e mostre) è dettata dall’attualità, ma ogni volta ci sforziamo di comprenderla dentro una visione più organica.
Tale atteggiamento ci ha portato a produrre anche numeri monografici come, per esempio, il numero 6/7 del ‘95, dedicato al restauro dell’arte contemporanea, o il numero 14 del ‘97, dedicato ai parchi di scultura all’aperto o, più recentemente, il 22/23 del 2000, dedicato alla riforma delle Accademie di Belle Arti. Negli ultimi due anni abbiamo applicato questo metodo anche all’arte contemporanea, quella dell’ultima generazione, con dei risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Vorrei ricordare, a tal proposito, il numero 24 dell’ottobre scorso, dedicato al tema ‘Torino per l’arte contemporanea: artisti, gallerie e istituzioni’
Mi pare evidente, dunque, che ‘Arte e Critica’ spazi su vari argomenti direttamente o indirettamente connessi al fare artistico, con l’obiettivo di produrre una ‘cultura’ dell’arte contemporanea.

Il servizio che ricorda più felicemente.
Non c’è un particolare articolo o intervista che ricordo più felicemente. Più semplicemente provo una diffusa soddisfazione che si rinnova ad ogni nuovo numero. In particolare c’è stata una escalation a partire dal numero 21, nel quale abbiamo raccolto le dichiarazione di oltre una quarantina di artisti, fino all’ultimo, il 27, dedicato alla situazione milanese.
Se poi volessimo forzare il concetto stesso di servizio ed allargarlo alle copertine, che per noi rappresentano il risultato di una scelta estremamente attenta, allora potremmo citare almeno le ultime tre: quella di Botto & Bruno, quella di Paolo Leonardo, con le finestre dedicate a Sara Rossi, Perino & Vele, Italo Zuffi, Ottonella Mocellin, Elisa Sighicelli, e l’ultima di Loris Cecchini.

Quello che ha creato più scalpore o problemi.
Nel campo dell’arte contemporanea non credo possano esistere particolari problemi o scalpori, che invece possono derivare da questioni più generali di gestione economica e politica delle istituzioni. In tal senso ricordo che pubblicammo un’intervista al segretario generale della Quadriennale di Roma che denunciava delle irregolarità di gestione: una questione che, accompagnata dal numero di ‘Arte e Critica’, arrivò su molti tavoli eccellenti.

Che problematiche incontra nella realizzazione della rivista.
I problemi che incontriamo sono prevalentemente di ordine tecnico. Se poi consideriamo il fatto che la rivista è fatta da Roma, è facile immaginarsi come alcuni problemi abbiano inevitabilmente un carattere endemico.

Quali soddisfazioni?
A parte la soddisfazione generale di cui ho già detto qualcosa, siamo particolarmente soddisfatti dei risultati che abbiamo raggiunto nel corso del tempo. C’è stata una lenta ma inesorabile crescita della rivista e siamo fermamente convinti di avere le energie e le idee per continuare a crescere. Più di qualcuno, con una certa dose di umorismo, ha gridato al
miracolo. Riferendosi, immagino, al fatto che la rivista è nata non per volontà di un gruppo, o di una società, o comunque di qualche forza economica consistente, ma dalla forza di volontà di un piccolo gruppo. Più che un miracolato, però, con la stessa dose di umorismo direi mi sento un eroe, o qualche volta un martire, che trova la propria soddisfazione
nell’affermazione di un’idea, nel perseguimento della propria missione.

Chi vorrebbe tra i suoi collaboratori?
Tra i miei collaboratori vorrei quelli che ho.

Chi non vorrebbe?
Non vorrei quelli che non ho.

Rimpianti?
Nessuno.

Il futuro online?
Non vedo un futuro online per ‘Arte e Critica’. Se intraprenderemo una qualche iniziativa in questa direzione sarà di natura
profondamente diversa. Le ragioni le ho già in qualche modo espresse all’inizio.

Articoli Correlati:
ExibInterviste precedenti: Gioia Mori (Art & Dossier)
ExibInterviste precedenti: Giancarlo Politi (FLASHART)
ExibInterviste precedenti: Lorella Pagnuco Salvemini (ARTEIN)

Silvio Saura è critico d’arte, collabora con diverse testate, vive e lavora a Venezia.


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Visualizza commenti

  • sì, è una gran bella pagina, non ci sono dubbi... ma che l'hai riscritta a fare?

  • Penso anch'io che gli inkazzati della rete non andranno a manifestare contro il G8. Sono troppo impegnati a sfogarsi sulla tastiera del loro computer. Che colpe ha una povera, piccola e tenera tastiera?
    Mi sono posto pure io il dilemma ma, tanto, non ci andrò perché sarò a lavoro. La questione, credo, riguarda piuttosto la morale di ognuno di noi. Dovrei andare alle mostre organizzate per l'occasione? Essere presente come addetto ai lavori, anche se fuori ci saranno persone di cui condivido il pensiero (non le azioni violente)?
    Se vado, mi dico, starò fuori a manifestare. Non credo nella globalizzazione, nel mio piccolo boicotto Nike, Nestlé, Barilla ecc., non mangio carne, ma non basta. La amata-odiata Beecroft realizzerà una delle sue performance (le modelle, tanto per cambiare) come omaggio - non credo come denuncia - ai Grandi del Mondo; ha chinato la testa davanti alla ghigliottina a forma di "M". Che cosa fare? L'arte, mi dico, non deve avere nulla a che fare con il sociale, non è più un mezzo di denuncia come una volta (penso al Quarto stato di Pellizza Da Volpedo o a tanti altri esempi che qui sfuggono); e allora che cosa ci fanno gli artisti al G8? Sono diventati anche loro politically correct, il loro comportamento che dovrebbe distinguersi si uniforma. O forse si distinguono perché la maggior parte della gente è contro e loro favorevoli? Personalmente penso sappiano che ai posteri non resteranno ricordi delle problematiche che viviamo oggi, ma solo i valori di aggiudicazione delle aste.
    Silvio Saura

  • Gentile Signor Piccolo Collezionista,
    la ringrazio molto per il bellissimo commento. Sapere che la pensa così mi dà fiducia, significa che, almeno in parte, ho raggiunto un mio obiettivo. Conosco un ex giornalista de La Nazione (ora in pensione, ha 80 anni ma è più vispo che mai) il quale consigliava di far leggere i propri articoli alla portinaia sotto casa. Se capisce lei, diceva, allora l'articolo è un buon articolo perchè possono capire tutti.
    La sensibilità artistica del fruitore - collezionista o spettatore che sia - non va frustrata. In questa bagarre comunicativa vince chi urla più forte e è il pensiero a farne le spese.
    Forse c'è sintonia perché la Sua sensibilità viene più dagli organi interni, dallo stomaco, che dal cervello.
    Sperando che Anna sia riuscita a convincerLa a rimanere con noi, La saluto e ringrazio nuovamente.
    Silvio Saura

  • E certo, adesso il costoleccio di maiale è diventato globalizzato? la rostinciana è capitalista? la fiorentina è imperialista? la salciccia berlusconiana?
    Sei più terrorista te di quelli che spaccheranno genova. Pure contro la dieta mediterranea vai...che è l'unica cultura condivisa che ci abbiamo!!!

  • No, no. Ma che scherziamo? Ora passo per campanilista, ma evviva la pasta e la pizza!
    La "M" sta per McDonald's. Eh!

  • Salve a tutti. Solo per leggere i commenti sotto l'editoriale di Lambarelli ci ho messo tre quarti d'ora. Alla fine mi sono detta che in realtà l'80 per cento degli interventi era aria fritta, un'autosbrodolarsi senza fine. Volevamo-almeno credo silvio no?-aprire un dibattito e dialogare con lambarelli. Mi sembra che ciò non sia avvenuto. Allora visto che probabilmente non si è in grado di aprire un dialogo serio e mirato lasciamo stare e cambiamo editoriale, per favore. Perchè dopo tre settimane credo ci si inizi un pò a stancare e forse chissà, la prossima volta si sarà più produttivi. Per amore di cronaca, visto che qualcuno sembra detestare l'anonimato (non capisco perchè, conta ciò che si ha da dire o un nome e cognome?), mi firmo:Paola Capata.

  • Sono ancora qui, grazie alla signorina Anna e il sig. Saura.
    Ho capito di che giornalista parla, è uno che in Toscana fra i "vecchi" è famoso, ma se non rivela l'identità Lei, perchè dovrei farlo io?
    Io non ho grandi cose da dirvi, la mia passione per l'arte nata una volta quando un amico mi ha portato a vedere una mostra di Mario Schifano tanto tempo fà, e ho voluto acquistare un'opera era un omaggio al futurismo, e da allora ho cominciato a girare per conto mio per mostre ed a comprare giornali di arte. Così è nata la mia passione e oggi non ho preferenze per galleristi o aste (che non ci vado alle aste), ma compro quando posso anche da amici che in tanti anni ho convinto a smettere di attaccare alle pareti i merletti e i vasi di fiori e adesso hanno più possibilità di me di far girare i quadri delle loro collezioni. C'è molta gente, signorina Anna, che possiede dei bei quadri di Suo padre, io mi auguro di imbattermi al più presto nell'opportunità di innamorarmi di uno di quei lavori.
    Grazie e buona fortuna a voi.

  • Non dimenticate che fare il direttore di una rivista in Italia non è per niente facile e se a quasto aggiungete il problema della assoluta mncanza di interesse verso l'arte da parte della cosidetta gente comune......

  • Grazie ancora Piccolo(ma grande)Collezionista per essere tornato, e per aver così caramente risposto. E mi è ancora più simpatico quando dice di non andare alle aste, che son quelle, (questo è un mio parere almeno per ora) che rovinano gli artisti. Da bambina ho conosciuto Jesi(parte della sua collezione è a Brera), me lo ricordo come un piccolo signore, un po' rotondo e buffo, che si faceva amare per la sua semplicità e spontaneità, e i bambini capiscono le persone. Ora sono più grande, però lei un po'me lo ha ricordato(non per il rotondo e buffo). Un caro augurio.

  • Gentile Direttore,
    ho riletto la sua risposta e forse ho capito quello da lei affermato riguardo la differenza tra mondo cartaceo e mondo telematico (dico forse, perchè sono una che tentenna, non avendo sicurezza, e avendo molti dubbi: è una vita un po'triste la mia). Allora, se avrà pazienza di leggere, le farò ancora qualche domanda, vedrà poi Lei se rispondere (io naturalmente spero di sì, spero che ritorni qui). Certo non sono un grande interlocutore, e me ne scuso.
    E' vero che si è persa quella buona umiltà (non mi riferisco a quella predicata chiesa cattolica, volta ai suoi intenti dominatori ed espansionistici, piuttosto a quella di Socrate, Francesco di Assisi e di chi vuole veramente capire, senza pretendere di insegnare)da parte di varie umanità, in queste sono compresa anch'io. Da quando sia cominciato questo tipo di atteggiamento, o per quale ragione non lo so: forse la televisione, forse le mode, le ideologie e i fondamentalismi mal appresi, mal interpretati e male restituiti, la mancanza di moralità (non moralismo), il "benessere" e il pressapochismo, il "salottismo",la dipendenza dal modello consumistico statunitense, il diffuso parlare senza cognizione dovuto alla presunta conquista di protagonismo e alla capacità d'imitazione della "ggente".
    Forse Lei che ha più esperienza e che copre la funzione del critico può darci un'interpretazione più puntuale.
    Sì, si parla di critica d'arte, ma siccome essa è la "traduzione" di una civiltà, un buon critico analizza anche la società contestuale restituendone in sintesi la sua visione, intrecciandola al commento sulla produzione artistica, facendo da filtro al filtro dell'artista che in quel momento sta osservando.(ora mi viene in mente, ma non centra niente, quando Roberto Longhi parlava di bardotismo)
    Per esempio, tra i testi di Edoardo Sanguineti che ho in libreria, ce n'è uno cui sono molto affezionata, è intitolato "La missione del critico": l'avevo acquistato proprio per il suo titolo. E anche lei parla di missione: perché infatti tale è. Restando in ambito "religioso" l'autore è dio e il critico il suo messaggero, oppure dio è il messaggio e l'artista e il critico sono messaggeri. Ed è un rapporto anche ambivalente: l'autore ha bisogno del critico, come il critico dell'autore, nello stesso tempo è l'opera che parla già autonomamente, alla quale, almeno secondo gli autori, a volte, le parole fanno male. Insomma, il critico è anche quello che si vuole presentare come opera, come dio. Vorrei che lei, visto che è più addentro ci descrivesse la sua visione del critico e anche che strada sta prendendo la critica e qual è la sua funzione anche dal punto di vista del mercato. Ne è succube, lo domina?
    Perché una tra le cose che capisco di meno, (qui sì entra in gioco la frustrazione) è la ragione per la quale vengano ignorate o dimenticate certe presenze ed esaltate altre, che al di là del gusto personale, sono rappresentative del nulla.
    Non parlo solo di mio padre, non è solo una cosa personale, di amore filiale, parlo anche di figure totalmente diverse nell'espressione, ma ugualmente degne, (Della Torre, Forgioli, Savinio, Raciti, Vago, Olivieri, Ajmone, Manfredi, Francese, Romiti, Bergolli, Milani, Chighine, e tanti altri), parlo di un sistema di Potere anche nell'arte.
    So che poi è il Tempo che decide la sorte di un' opera, che può resistere, riaffiorare o venire del tutto inghiottita e persa come non fosse mai esistita, però, anche se gli artisti e pure i critici "dimenticati", continuano a fare il loro lavoro, perché è questa la loro missione e sono consci di cosa comporta, senza preoccuparsi più di tanto della loro affermazione e del loro mercato (a parte quando non riescono a pagare le bollette e il conto della banca raggiunge il rosso), questa sensazione di fine e di vuoto da dentro, sotterraneamente, s'insinua e può arrivare a spegnere, a offuscare e portare alla resa, all'afasia. Come anche può succedere a molti giovani valevoli, che non trovano via d'accesso alla possibilità della loro espressione, non per loro mancanza.
    Ecco la globalizzazione(americanizzazione) anche dell'arte.
    Vorrei ci parlasse di questo.
    Non ho il dono della sintesi, la saluto qui, anche se vorrei sapere tante altre cose.
    La ringrazio tanto se vorrà rispondermi e la saluto.
    Anna Lavagnino, (mi firmo per intero per farle piacere).
    P.S. Un appunto sull'anonimato: forse è la coscienza di essere anonimi (non perché sia una vera condizione dell'animo, ma perché si sa di non avere borghesemente "un nome") che porta a scegliere nomi fittizi, o anche per fare più presto a scrivere, non per falsità: qualcuno potrebbe firmarsi con un nome illustre e riconoscibile, attribuirgli il suo pensiero, questa sì è falsità, ma qui non l'ho mai riscontrata)

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