La tentazione di giocare sul doppio piano di realtà e finzione, nutrendone l’ambiguità attraverso l’uso di giocattoli – pupazzetti, soldatini, bamboline (Barbie in primis) – non è certo una novità tra i fotografi. Lo statunitense David Levinthal, ha costruito la sua intera poetica trasponendo seducenti modelli in miniatura in metaforiche elaborazioni antieroiche, come del resto un grande maestro come Nino Migliori che nella serie Make love not war (1975) inserisce soldatini di plastica in un paesaggio femminile in cui si intravede un capezzolo, l’ombelico, i peli pubici.
In questa visione zoomata e spiazzante si inquadra anche il lavoro di Stefano Giogli (classe 1965, vive a Città di Castello) Small Italy – Fake (2009), presentato nella galleria romana Acta International / LuminUp (fino al 12 aprile 2013) dopo il successo ai Rencontres d’Arles 2012.
Anche altri autori, come Giogli, hanno subito il fascino della location – L’Italia in miniatura di Rimini – da Luigi Ghirri che firma il suo viaggio metaforico di grande poesia (In Scala 1977-78) a Silvia Camporesi con La Terza Venezia (2011), passando per tantissimi altri tra cui Marco Covi e Mario Beltrambini, tuttavia in Small City la finzione è duplice.
Un racconto che è apparentemente affidato ai pupazzetti e ai modellini di automobili che passeggiano per piazza San Pietro, girano intorno alla Torre di Pisa, si lasciano alle spalle la Reggia di Caserta… ma che non è altro che la proiezione di un vissuto personale.
In un ipotetico flashback, Gioglio decodifica, attraverso la scrittura della luce, il proprio stato d’animo di bambino, quando all’età di sei o sette anni visitando il parco giochi di Rimini, che era stato inaugurato da poco, provò una gamma di sentimenti e sensazioni. «Mi sentivo piccolo piccolo all’interno di quell’Italia che non conoscevo così bene», ricorda il fotografo. «Questo lavoro è nato come assignment. Ho dovuto frugare tra le mie conoscenze, nel mio background – film, musica, mostre – insomma nel mio gusto del bello. Scavando ho trovato questa soluzione che mi è piaciuta molto, perché mi ha trovato come interprete diretto. Mi sono immedesimato in quei luoghi famosi in tutto il mondo, cercando di raffigurali senza trucchi o inganni».
Attraverso l’obiettivo 20mm l’autore riesce a mettere perfettamente a fuoco le figure in primo piano, lasciando lo sfondo immerso in una sospensione sfuocata. «Volevo accentuare l’atemporalità e il vuoto dello spazio perché, volutamente, le foto sono piccole ed inserite al centro di un contenitore che è un bianco abbastanza assoluto. La mia volontà è quella di stupire l’osservatore che si trova a distanza», spiega.
Stefano Giogli si avvicina alla fotografia nel 1985, frequentando un primo corso di fotografia. Ci tiene a sottolineare il suo approccio da autodidatta: proviene da una formazione professionale in agraria. «In seguito la macchina fotografica è servita per raccogliere immagini-cartolina di viaggi che ho fatto con mia moglie in giro per il mondo: Tunisia, Grecia in vespone… Foto senza alcuna pretesa artistica. Tra il 1999 e il 2000 c’è stato il riavvicinamento a quest’arte, per capire qualcosa in più rispetto a quello che la fotografia offre come linguaggio. Ho iniziato a vedere mostre, leggere libri fotografici e frequentare i tanti festival che ci sono in Italia, dove si ha anche la possibilità di capire come si presenta un portfolio».
Stefano Giogli, che da qualche anno è membro del gruppo Reflexions-Masterclass (diretto da Giorgia Fiorio e Gabriel Bauret) è autore di volumi fotografici, tra cui il pluripremiato L’unico eri tu (Postcart 2011), vincitore nel 2012 dell’VIII° Premio Bastianelli per il miglior libri. Questo progetto dedicato agli adolescenti è anche uno dei lavori a cui è più legato: ne ha fotografati una quarantina all’interno delle loro camere.
Manuela De Leonardis
Dal 20 marzo al 12 aprile
Stefano Giogli. Small Italy – Fake
ACTA INTERNATIONAL e LUMINUP
photo art gallery
via Panisperna, 83
00184 Roma
Orari: Lunedì – Venerdì 16 – 20
Sabato su appuntamento