È preceduta da un titolo volutamente provocatorio la nuova personale di Pino Boresta (Roma, 1962) presso Bianco Contemporaneo, nuova galleria sorta a Roma, nel quartiere Coppedè, erede di Whitecubealpigneto, spazio espositivo dell’Associazione Culturale La Stellina, luogo di incontro, negli anni Duemila, per numerosi artisti, molti dei quali agli esordi: Edoardo Albinante, Massimo Ruiu, Jorit Agoch, Sergio Ceccotti, Francesco Impellizzeri, solo per citarne alcuni.
M.E.R.d.A. – questo il titolo – nella mostra di Boresta non è una semplice imprecazione ma l’acronimo di “Manifesti Elettorali Rettificati da Asporto”. Difficile stabilire se l’artista sia partito dal termine sciogliendolo in un acronimo ad hoc o sia stato invece quest’ultimo l’incipit, poi rivelatosi puntuale quanto irriverente titolo. Forse un fondo di verità procedurale c’è in entrambi, ma certamente previsto era l’aspetto sardonico, sempre rincorso dall’artista, che ad un’arte relazionale di estrazione prettamente – e squisitamente – ironica ha sempre votato la sua ricerca. Noto come uno degli eredi del situazionismo presessantottino e soprattutto per essere tra i creatori del Progetto Oreste (1997-2001) – esperimento relazionale sviluppatasi nel corso degli anni Novanta e invitato nel 1999 alla Biennale di Venezia di Harald Szeemann – Boresta solletica, incuriosisce, ironizza, sdrammatizza, quasi mai provoca ma paradossalmente demistifica, sollecitando una relazione con il pubblico.
Per farlo non di rado ha utilizzato le sue nove smorfie, apposte in passato su manifesti, segnali stradali, contatori della luce, con una sistematicità e pervasività da fargli guadagnare la menzione sull’Enciclopedia Treccani come uno dei primi street artist italiani. Impropriamente a dire il vero, visto che le sue operazioni, benché clandestine, più che nella Street Art sono concettualmente collocabili, come si è detto, nel vasto ed eteroclito alveo dell’arte relazionale. Esse infatti utilizzano i muri e la strada non tanto come supporto ma come sconfinato palcoscenico d’incontro, luogo privilegiato per il contatto diretto con il pubblico. Risulta infatti difficile restare indifferenti alle sue azioni, sempre votate al sorriso, mosso dalle sue persuasive espressioni, che tutt’oggi incolla dappertutto con l’intento di “alleggerire la vita” anche nelle sue dinamiche più complesse, dalla politica all’ingiustizia sociale. Ed è questa l’azione perpetrata anche nella mostra romana dove una ventina di manifesti, in prevalenza politici, sono manipolati, assemblati o scomposti, fino a cambiarne e talvolta a capovolgerne il messaggio semplicemente incollando il suo volto e giocando con la parte verbale. Trasformati da strumenti di amarezza e disillusione in oggetti divertenti e canzonatori, i manifesti trasformano lo spazio capitolino in un’accidentata sequenza verbovisiva, immergendo lo spettatore in un poema oggettuale totalizzante.
Manifesti elettorali strappati dai muri o presi dalle scorte degli attacchini nel periodo delle elezioni, attraverso cui Boresta ripercorre parte della nostra storia politica recente, dagli anni Novanta al 2014, vale a dire dall’inizio della tanto discussa crisi economica, che ancora oggi attanaglia lo spirito degli italiani ancor prima che il loro portafogli, da cui sembra difficile uscire e ancor di più risollevarsi. Boresta agli errori del recente passato dà nomi e volti senza tuttavia esporli alla pubblica vergogna. Pur salvaguardandone la riconoscibilità, li nasconde, ne cela il volto sotto le sue tante smorfie, trasformando la rabbia in sorriso, il risentimento in allegria, il senso di sconfitta in affratellamento in un destino comune. Un destino, si dirà, tragico ma pur sempre comune perché, come dice il proverbio, “mal comune mezzo gaudio”.
Carmelo Cipriani
mostra visitata il 29 novembre
Dall’11 ottobre al 15 gennaio 2019
Pino Boresta, M.E.R.d.A.
Bianco Contemporaneo, Roma
Via Reno 18/a, 00198 Roma
Orari: da martedì a venerdì, dalle 16.30 alle 19.30
Info: +39 3342906204
info@biancocontemporaneo.it
www.biancocontemporaneo.it