-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Mercato dell’arte 2024: storia e cronistoria dell’anno che sta per finire
Mercato
Storia e cronistoria del mercato dell’arte, edizione 2024. Un racconto per frame, per picchi, per schianti, più o meno approfonditi e intrecciati tra loro, per rievocare un mese dopo l’altro i trend più significativi dell’anno che sta per finire.
Bando alle nostalgie, comincia il recap. Apre subito le danze la sfilata di Old Masters che a gennaio ha inaugurato, puntuale, il calendario dell’art market internazionale. Vecchi maestri da Tiziano a Botticelli, come fosse l’inventario di un museo, ma qui sono tutti in vendita, si sfidano tra i grattacieli elettrici di New York. C’era un disegno di Van Dyck da Christie’s, un record mondiale per il suo genere, su carta, fissato a quota $ 2,1 milioni; sempre da Christie’s, la Giuditta sardonica di Giulio Cesare Procaccini raggiungeva il tetto di $ 1,1 milione, mentre dalla controparte Sotheby’s una natura morta di Luis Meléndez – in prestito dal 1999 al 2018 presso il Metropolitan Museum di New York, a proposito di qualità museale – passava di mano per $ 2 milioni. «Il mercato degli Old Masters oggi premia opere di pittori celebri e con soggetti iconici, rigorosamente in ottimo stato di conservazione», confermava a exibart Maurizio Canesso, che a Milano e Parigi ha festeggiato nel 2024 i 30 anni della sua galleria. «In questi casi, si arriva a cifre mai raggiunte prima». Ritirato prima del tempo, da Sotheby’s, il top lot del catalogo: un ritratto di Diego Velàzquez da $ 35 milioni, più del fatturato effettivo dell’asta intera alla fine dei giochi, a mani basse il capolavoro (inespresso) della stagione. E forse un’avvisaglia dei tempi avversi riservati, nei mesi a venire, alla maison di Patrick Drahi. Ma gennaio rima anche con BRAFA, 5000 anni di storia racchiusi in 132 stand del Brussels Expo – quest’anno il leitmotiv, un po’ ovunque a dire il vero, era il Surrealismo, a cento anni esatti dal Manifesto di André Breton. Due highlights rappresentativi (qui il report in diretta dalla fiera): Le Palais de rideaux di René Magritte, anno 1928, esposto da Galerie de la Béraudière, asking price nella regione dei € 2-3 milioni; e poi Tom Wesselmann, Tom Wesselmann ovunque, un’altra anticipazione di un trend ravvisato per l’intero anno di grazia 2024, coronato a ottobre dalla grande retrospettiva Pop Forever, Tom Wesselmann &… alla Fondation Louis Vuitton di Parigi.
Febbraio, un’altra carrellata di fiere e di aste, da una parte all’altra del globo. Zona Maco a Città del Messico (quest’anno spegneva 20 candeline, e festeggiava con oltre 200 booth), l’edizione numero cinque di Frieze Los Angeles (95 gallerie negli spazi singolari dell’aeroporto di Santa Monica), poi ancora ARCO Madrid (edizione quarantatré). Arriva rapido marzo, e porta con sé altri due appuntamenti fieristici essenziali: prima la 37esima edizione della fiera delle meraviglie TEFAF, lato arte antica, 270 gallerie sotto il cielo plumbeo di Maastricht – due nomi per tutti, Murnau mit Kirche II di Wassily Kandinsky, esposto nello spazio di Landau (lo stesso che nel marzo 2023 transitava a Londra da Sotheby’s per la cifra record di £ 37,2 milioni,) e il ritratto di Lavinia Fontana da Rob Smeets Gallery, ad acquisirlo è stato il NMWA-National Museum of Western Art di Tokyo (l’asking price superava i € 4 milioni). E poi ancora Art Basel Hong Kong, 242 stand negli spazi del centro congressi HKCEC, tutti a rapporto i nomi dell’art system internazionale, dalle gallerie local a David Zwirner, da Gagosian ad Hauser & Wirth, vestite a festa come ai tempi d’oro pre-pandemia. Non restano a guardare le case d’aste, marzo è il mese delle vendite londinesi dedicate all’arte moderna e contemporanea, tra New Bond e King Street. Il top lot della stagione? Senz’altro L’ami intime di René Magritte, anno 1958, che da Christie’s guida la 24esima The Art of the Surreal Evening Sale dritto fino a quota £ 33,7 milioni. Sarà tra i dipinti più costosi dell’anno, all’epilogo di un 2024 dove impervia la parola «crisi», ma resistono le opere davvero rarissime nella fascia alta, quelle di indubbia qualità – meglio se condite di garanzie e di irrevocable bids. Tutti i dettagli qui.
Aprile, è Venezia l’ombelico dell’arte: inaugura la Biennale Arte di Adriano Pedrosa, il tema è Stranieri ovunque – Strangers Everywhere. E detta i protagonisti dei mesi – e degli anni – a venire (vedi alla voce Louis Fratino), mentre tutto intorno musei e fondazioni stringono l’abbraccio intorno a re e regine del mercato: Julie Mehretu a Palazzo Grassi (attualmente, l’artista afrodiscendente più quotata al mondo, qui un’analisi del suo mercato), Willem De Kooning alle Gallerie dell’Accademia (ne parlavamo in questo articolo, tra record e maxi aggiudicazioni), Jean Cocteau alla Collezione Peggy Guggenheim, incredibile la mostra Monte di Pietà alla Fondazione Prada. Arriva Maggio, ed ecco subito la coda dei pesi massimi all’appello – ovviamente a New York (teatro nello stesso mese, lato fieristico, di TEFAF, Frieze, Independent Art Fair e Nada), e ovviamente “giudicati” dal duopolio delle meraviglie Christie’s e Sotheby’s, proprio nel cuore di Manhattan. Ci sono Coin de jardin avec papillons di Vincent Van Gogh ($ 33,2 milioni) e i fiori di Andy Warhol ($ 35,5 milioni) in vendita da Christie’s, entreranno entrambi di diritto nella top ten dei lotti più costosi del 2024. Invenduta l’opera pupilla del catalogo, Event di Brice Marden, era stimata tra i $ 30 e i $ 50 milioni. Bene per Claude Monet, i suoi Mules à Giverny da Sotheby’s chiudono a $ 34,8 milioni; e sono fuochi d’artificio per il capolavoro assoluto di Leonora Carrington: i Piaceri di Dagoberto (che nel 2022 vedevamo esposta alla Collezione Peggy Guggenheim in concomitanza con la Biennale di Cecilia Alemani, a proposito di risonanza tra Biennale e mercato) fissano un nuovo traguardo a $ 28,5 milioni. «Racchiude tutti i tratti distintivi dell’artista nella sua massima misura», dichiarava prima dell’incanto Julian Dawes, Sotheby’s Head of Impressionist & Modern Art in New York. Ad acquistarla è Eduardo F. Costantini, fondatore del Museum of Latin American Art di Buenos Aires.
Giugno è il tempo dei Magnificent Jewels, aprono le fila quelli – magnifici, per davvero – di Christie’s New York. Occhi puntati su un diamante rosa da 10,20 carati – Eden Rose, si chiama – vale a dire l’esemplare «round brilliant internally flawless fancy intense pink» più significativo offerto all’asta da quando il Martian Pink veniva venduto a Hong Kong nel 2012. Prezzo finale? $ 13,3 milioni. Dalla controparte Sotheby’s, è un raro pezzo di Van Cleef & Arpels del 1929 a rubare la scena, una collana di diamanti aggiudicata per $ 3,6 milioni (tre volte la stima alta iniziale). Intanto oltreoceano, ad Art Basel Basilea, invade la scena un’altra ondata di Tom Wesselmann – nessun dubbio, è il suo anno, si attende per il 2025 un’esplosione anche sui rostri – lo espone tra gli altri il colosso Lévy Gorvy Dayan, le labbra erotiche le mani smaltate la sigaretta il fumo, asking price oltre i $ 6 milioni. In buona compagnia tra gli altri con Sky with moon di Georgia O’Keeffe da Hauser & Wirth (venduto a una «major private collection» per $ 13,5 milioni) e un Untitled 2 del 1999 di Julie Mehretu da White Cube (passato di mano a $ 6,75 milioni subito, all’apertura della fiera). Qui il nostro report il primo giorno di preview. E non è ancora finito giugno, si vola a Londra a fine mese con le aste d’estate di arte moderna e contemporanea. Nota a margine necessaria: nonostante i valori in calo, il numero di vendite delle case d’aste ha continuato a crescere tra 2023 e 2024, a riferirlo è l’ultimo report firmato Art Basel & UBS: «È aumentato del 6% anno su anno con le vendite dal vivo in calo del 16% ma un forte aumento delle vendite solo online del 25%, parzialmente sostenuto dall’espansione di Bonhams. Queste case d’asta ora detengono oltre cinque volte più vendite solo online rispetto al 2019, rappresentando il 63% delle loro vendite totali, mentre il numero di vendite dal vivo è diminuito di poco più del 20%». Con un però: nel 2024, Christie’s rinuncia alle tradizionali vendite londinesi di giugno per l’arte impressionista e del XX secolo, c’è spazio solo per il contemporaneo nella sua Post-War to Present (Günther Förg, Lynette Yiadom-Boakye, Alighiero Boetti, per rendere l’idea). Nessuna dispersione di energie, nell’anno della crisi, meglio seguire il calendario delle maxi fiere e il rispettivo flusso di collezionisti globali. Da Sotheby’s, a Londra, a emergere tiepido è il solito Jean-Michel Basquiat, con un Portrait of the Artist as a Young Derelict da $ 20,2 milioni (il traguardo assoluto dell’artista è un appannaggio lontano), mentre Meadow di Paula Rego sfiora il record a $ 2,6 milioni. Senza infamia e senza lode.
Luglio, torna puntuale la Classic Week di Londra. Ovvero l’ultimo appuntamento semestrale dell’art market internazionale, prima di ritirarsi sotto il sole cocente della Monaco Art Week. Con cappello a falda larga e minorchine ai piedi. Così le majors Sotheby’s e Christie’s – che a inizio anno, a New York, vendevano Procaccini, Van Dyck e Meléndez – ora ripercorrono la strada dell’antico con un’accurata selezione di capolavori. Non «una sfilza», ça va sans dire, perché gli old masters in circolazione sono sempre più introvabili, sempre più rari. Mentre si espandono a macchia d’olio i vecchi maestri senza nome, o comunque senza blasone, nella speranza di anticipare riscoperte, tendenze, mode. C’è Il Riposo durante la fuga in Egitto di Tiziano tra i top lot della stagione, Christie’s London lo vende per £ 17,5 milioni (un nuovo traguardo per il vecchio maestro italiano). Bene anche per La Madonna delle ciliegie di Quentin Metsys, il padre della scuola di Anversa, ad aggiudicarselo da Christie’s è il Getty Museum, per la modica cifra di £ 10,6 milioni. E l’esito del martello arriva a poche settimane da un altro numero clamoroso per la maison, il passaggio di quel melone di Chardin che oltremanica, da Christie’s Paris, è stato aggiudicato per € 26,7 milioni: è il record assoluto per il pittore, ma anche l’Old Master più costoso mai venduto in Francia e il dipinto antico francese del XVIII secolo più caro di sempre. Peccato che il nuovo proprietario, l’investitore italiano Nanni Bassani Antivari – l’ha rivelato di recente The Art Newspaper – non abbia mai inviato il denaro dovuto alla casa d’aste. Ma questa è un’altra storia. Anche Sotheby’s tira fuori dal cappello qualche nome altisonante: Sandro Botticelli (and Studio, è bene specificare), Sir Peter Paul Rubens, Canaletto. «Il mercato degli Old Masters è diverso da molti altri», ha rivelato a exibart Elisabeth Lobkowicz, Old Master Paintings Specialist di Sotheby’s. «Molto è dettato dall’offerta: i migliori capolavori tendono a emergere dalle collezioni private solo raramente, ma quando lo fanno la domanda è enorme». Detto, fatto, anche quando la parola crisi riecheggia, sussurrata, tra i muri delle saleroom.
Agosto, cala il sipario sul primo semestre dell’art market internazionale. Il Financial Times gli affibbia un titolo e uno stato di salute senza troppi giri di parole: «Il mercato dell’arte si raffredda», scrive a caratteri cubitali, a proposito di una Sotheby’s che «crolla» (-25% delle vendite all’incanto rispetto al primo semestre 2023) e della competitor Christie’s che «soffre» per il rallentamento delle aste (-22% a confronto con lo stesso segmento 2023). Si parla di crisi, stavolta ad alta voce, in coda a un 2022 brillante (era l’anno della collezione Paul Allen, $ 1,5 miliardi in una notte soltanto) e a un 2023 di “normalizzazione”. L’annuncio ufficiale di Sotheby’s, che venderà una quota di minoranza del patrimonio di Patrick Drahi al fondo sovrano di Abu Dhabi ADQ entro la fine dell’anno (accadrà di fatto a ottobre), sembra alimentare l’incertezza generale. Sarà il report di Art Basel e UBS a firma di Clare McAndrew (UBS The Art Basel and UBS Survey of Global Collecting 2024, il titolo ufficiale), un paio di mesi più tardi, a fare chiarezza, a restituire uno sguardo globale: «Questo report», rivela fin dall’incipit la fondatrice di Arts Economics, «viene pubblicato in un contesto di alti tassi di interesse, tensioni geopolitiche persistenti e frammentazione commerciale, fattori che pesano sui sentimenti di acquirenti e venditori. Ciò ha portato a un ambiente di acquisto cauto, con il mercato dell’arte in calo del 4% nel 2023 (a $ 65 miliardi) e vendite pubblicate presso le principali case d’asta in ulteriore rallentamento nella prima metà del 2024». Poi, alla snocciolata, una serie di inaspettati punti luce, rivelati dall’indagine HNWI: mentre la spesa media è scesa del 32% nel 2023 (fissandosi a poco meno di $ 363.905), i livelli mediani sono rimasti pressoché invariati, scendendo soltanto da $ 50.165 nel 2022 a $ 50.000 nel 2023, e a $ 25.555 nel primo semestre del 2024. Scrive McAndrew: «Uno dei principali fattori trainanti del rallentamento del mercato nel 2023 è stata una contrazione delle vendite delle opere più costose all’asta, in particolare quelle vendute per oltre $ 10 milioni». E sottolinea così un’inversione di tendenza rispetto al 2022, quando «il segmento di prezzo superiore a $ 10 milioni era l’unico in crescita, mentre tutti gli altri al di sotto di tale livello diminuivano». Tradotto: si riducono le vendite nei segmenti più alti, ma le transazioni si attestano più vivaci nella fascia media e bassa del mercato. Un trend che confermeremo fino alla fine, nell’anno di grazia 2024.
A settembre, la stagione del mercato riparte con Frieze Seoul, edizione numero tre. 110 gallerie da 30 Paesi, i giganti internazionali come Gagosian, Hauser & Wirth e David Zwirner in dialogo serrato con realtà coreane come Arario Gallery e Gallery Hyundai – per un approccio sempre più dichiaratamente glocal, globale e locale insieme. Sempre a settembre, al di là del planisfero, al Javits Center di New York arriva la nuova edizione del The Armory Show, 235 gallerie da 35 Paesi stavolta. Con una premessa importante: risale a luglio 2023 l’acquisizione della superfiera da parte del colosso Frieze (in coppia insieme all’Expo di Chicago, per rincarare la dose). Tra i big senz’altro Jeffrey Deitch, Victoria Miro, Almine Rech, Nara Roesler e Kasmin – mentre mancano all’appello, proprio come nell’edizione 2023, i giganti blue chip, da David Zwirner a Pace ad Hauser & Wirth. Ma c’è un ottobre ultracarico alle porte, al di qua dell’Oceano, e le gallerie fanno bene i conti su dove convenga esporre, dove concentrare le energie nell’anno della crisi. Risposta: a Parigi, con l’aliquota IVA per l’importazione di opere d’arte e le transazioni del mercato secondario ridotta al 5,5%, tra le più basse in Europa. E con tanti saluti a Italia e Regno Unito.
Ottobre sparpagliato tra Londra e Parigi. Partono Frieze London e Frieze Masters a Regent’s Park, dall’antico al contemporaneo, tutti i grandi nomi presenti stavolta, ma tanti espositori ammettono di aver riservato il meglio ad Art Basel Paris, in calendario la settimana successiva. Sempre a Londra, intanto: 1-54 Contemporary African Art Fair, la primissima edizione di WIAF, Women in Art Fair, le aste delle majors tra King Street e New Bond Street (che schierano Hockney, Rego, Freud e Koons, mentre tra i giovanissimi – i cosiddetti red-chip – emergono da Phillips Francesca Mollett e Joseph Yaeger). La nostra preview qui. Poi il salto oltre la Manica, c’è Art Basel Paris, edizione numero tre: una fiera «come non se ne vedevano da tempo», ripetono come un mantra gli addetti ai lavori, di sicuro «meglio di Londra», poi subito «c’erano tanti americani», a suggellare l’eccellenza – gli stessi americani che mancavano tra i corridoi infausti di Frieze, una settimana prima. Chapeau. Alla fine della fiera, Art Basel si è fatta sentire forte, chiara, elegante, maestosa, anche nella versione ridotta parisienne (195 stand contro i 287 della regina madre Basilea, che pure soffre il confronto ravvicinato con Paris, contro i 242 booth di Hong Kong e anche contro i 283 previsti a dicembre a Miami. Giusto per ridimensionare un po’ le cose). Mette tutti d’accordo il rinnovato Grand Palais, finalmente la sede che Art Basel merita – infiltrazioni di pioggia a parte – i giganti blue-chip delle Galleries al piano terra a dare il benvenuto e sopra i giovani, i nuovi progetti illuminati dalla cupola di vetro, tra Emergence e Premise. «Quest’anno è stata la fiera parigina più forte fino ad oggi», rivela senza mezzi termini il gallerista Thaddaeus Ropac. Verdetto finale: oltre 65.000 visitatori, e una bella schiera di vendite come Julie Mehretu da White Cube per $ 9,5 milioni, $ 20 milioni per il ragno di Louise Bourgeois da Hauser & Wirth («to an esteemed private collection», specificano dalla galleria), Alice Neel andata per $ 1,2 milioni da Xavier Hufkens, e vola per $ 1,2 milioni K di Victor Mann, l’ultimo arrivato sotto l’ala benedicente di David Zwirner. Anche a Parigi è Tom Wesselmann la superstar indiscussa tra i booth. Intanto, lì fuori, nella nuovissima sede all’83 di Rue du Faubourg Saint-Honoré, Sotheby’s festeggiava venerdì la sua vendita da guanti bianchi, la ormai tradizionale Surréalisme and its Legacy (edizione numero 3); mentre nella saleroom di Christie’s, al 9 di Avenue Matignon, i 34 capolavori italiani esitati tra Avant-Garde(s) including Thinking Italian e successiva Day Sale rievocavano i tempi d’oro con un totale di € 16 milioni, il 100% di venduto, ben 4 opere assegnate per oltre € 1 milione. Un’iniezione di fiducia, si diceva. Qui il nostro report in diretta, alla fine della fiera.
Sweet November, e il peso di un’annata non esattamente memorabile tra le fila del mercato, con un preoccupante -30% per le vendite globali di arte (29,4% rispetto al 2023, per essere precisi) ormai marchiato a caratteri cubitali. Eppure si è consumata un’altra battaglia tra i grattacieli elettrici di New York, è arrivata puntuale, nonostante la stanchezza, le incertezze geopolitiche, la crisi, e ha messo a segno una sfilza di record, di aggiudicazioni milionarie. Neanche a dirlo, sono tutti riservati ai giganti (dicevamo: si salvano i capolavori) e sempre ben coperti da garanzie. E quindi: via per $ 6,2 milioni da Sotheby’s la banana della discordia di Maurizio Cattelan, che ha coperto con il suo frastuono perfino il record della superstar Magritte, il suo Impero delle Luci da Christie’s schizzava dritto fino a $ 121,2 milioni. E poco importa che fosse la prima opera a sfondare il tetto dei $ 100 milioni quest’anno, sotto il martello delle aste, a rimbombare sono l’indignazione («ah, questa è arte?»), poi a ruota l’entusiasmo contagioso («è un genio», a sostenerlo sono sostanzialmente gli addetti ai lavori), quasi una disforia collettiva perchè tutti – tutti – ne hanno sentito parlare, anche chi di Sotheby’s, di Christie’s, di buyer’s premium, garanzie e vendite white glove non si era mai interessato finora. Ne parlavamo in questo articolo, all’indomani della maxi vendita di New York, e lo riportiamo anche qui. Quindi, com’è andata la prova del nove? Ha iniziato Sotheby’s e lo ha fatto col botto, guanti bianchi, il 100% del venduto, oltre il 50% dei lotti sopra le stime alte per la collezione di Sydell Miller, incluse le Ninfee di Monet da $ 65,5 milioni, aggiudicate dopo una bidding battle sofferta di 17 minuti in sala. Ma i risultati non sono stati tutti bianchi o tutti neri, sui rostri patinati di New York. Nota a margine ovvia: i final prices includono il buyer’s premium, le stime pre-incanto mai, che significa che i risultati finali sono a rigor di logica sempre avvantaggiati. Delle sette evening sales organizzate nella stessa settimana da Sotheby’s, Christie’s e Phillips, due hanno superato gli obiettivi di prevendita, due sono rimaste al di sotto delle stime basse e tre hanno chiuso nei parametri attesi, tra garanzie e copertura jolly di «irrevocable bids». Prendiamo l’asta di Sotheby’s, la stessa della mitica banana: Women in Tub di Jeff Koons, anno 1988, che non compariva sul mercato dal lontano 2001 ed è stata esposta nei musei più importanti in giro per il globo, è finita invenduta. La stima era di $ 10-15 milioni. Così come il Basquiat da $ 10 milioni di Phillips e lo straordinario Torse de jeune fille di Matisse da $ 12.000-18.000 milioni da Sotheby’s, solo per citare alcuni dei flop più rumorosi – ma smorzati dal clamore di Comedian. Unsold, unsold. D’altra parte, non sono mancati gli exploit oltre le stime, per collectors sempre presenti, sempre disposti a spendere – a discapito delle premesse di inizio 2024 – ma sempre più esigenti, a caccia di capolavori e di opere davvero rare. Vedi da Sotheby’s i disegni di Roy Lichtenstein, con Oval Office (study) che ha moltiplicato da $ 1-1,2 milioni fino al tetto di $ 4,2 milioni. Per un disegno, chapeau. Vedi ancora il nuovo world record per il sogno americano di Ed Ruscha, quella Standard Station, Ten-Cent Western Being Torn in Half, rossa brillante, andata da Christie’s per $ 68,3 milioni. Per non farsi mancare niente, c’è stato anche un risultato importante per la fotografia: uno scatto di William Eggleston, Untitled, degli anni ’70, che ha superato tutti i pronostici e ha fissato un nuovo traguardo a $ 1,4 milioni. Alla fine dei giochi, il bottino delle case d’aste – Christie’s, Sotheby’s e Phillips, tutte insieme, a New York – ha fruttato un totale di $ 1,3 miliardi, in calo rispetto agli $ 1,8 miliardi del 2023. Luci e ombre, come nel capolavoro da record di Magritte. Che resta di fatto la superstar assoluta degli incanti di New York – almeno in numeri, a scanso di scivoloni. A Ginevra, intanto, alcuni risultati straordinari in tema di gioielli: uno smeraldo da 37 carati che il Principe Aga Khan commissionò a Cartier Parigi, nel 1960 (esito, da Christie’s: CHF 7,7 milioni, quasi $ 9 milioni) e un négligé di diamanti del XVIII secolo, lo stesso che la marchesa di Anglesey Marjorie Paget indossava durante l’incoronazione di re Giorgio VI, nel 1937, immortalata per sempre in uno scatto di Cecil Beaton (verdetto finale, da Sotheby’s: $ 4,8 milioni).
Dicembre, ultimi affanni dell’anno che sta per finire. C’è la regina delle fiere e chiudere i giochi, nella sua veste glamour, patinatissima, che ha nome Art Basel Miami. Ma chi c’è stato quest’anno ha parlato di una Miami più oculata, a tratti intellettuale, insomma, meno kitsch. A prendere le redini quest’anno è stata Bridget Finn, che ha riunito insieme 286 gallerie da 38 Paesi, per un totale di oltre 75.000 ingressi tra i patinatissimi giorni VIP e apertura al pubblico. Le opere più costose? Harbor Nurse di Richard Prince andato per $ 4,5 milioni da Gladstone Gallery, un David Hammons per $ 4,75 milioni da Hauser & Wirth, Dresdner Frauen – Die Elbe di Georg Baselitz sfila da Thaddaeus Ropac (Paris, Salzburg, London, Seoul) per € 2,5 milioni, da Almine Rech un lavoro di Tom Wesselmann va per $ 1,2-1,5 milioni. Ed ecco quindi l’epilogo, le immancabili pagelle di fine anno: $ 5,7 miliardi di fatturato per Christie’s (erano $ 6,2 miliardi nel 2023, “solo” il 6% in meno alla fine dei giochi, erano $ 8,4 nel 2022). Ancora nessuna dichiarazione ufficiale da Sotheby’s, né da Bonhams e Phillips, Artcurial rivela un totale di € 186,6 milioni (€ 217 milioni nel 2023). Cala il sipario.