Con cadenza irregolare, biennale o annuale, il Salon parigino nasce nel 1667, organizzato dallâAccademia reale e rivolta allâesculsiva esposizione degli accademici stessi. La rilevanza ottocentesca dellâesposizione, che giustamente non ritroviamo riportata negli scritti offertici dalla galleria Rizzuto, è conseguente alla contestazione che un gruppo di pittori, non accettati al Salon, fecero allâaccademismo in genere, realizzando una mostra concorrente nel 1874: il Salon des RefusĂŠs.
Ă una storia che conosciamo. Câè da dire che lâimportanza dei refusĂŠs è stata non soltanto lo loro lâesposizione, nella necessitĂ di unâautonomia antiaccademica, ma aver rotto, proprio grazie alla contestazione, con unâistituzione vecchia di duecento anni e che puzzava di marcio, perdurata fino al Novecento, nonostante gli straordinari cambiamenti avvenuti grazie alle avanguardie artistiche (cfr. RoseLee Goldberg).
Proporre oggi un Salon è certamente provocatorio. Ă una mossa che può far sorridere, ma la tendenza, quasi anarco-primitivista, del ritorno al passato in sostituzione di una ricerca dellâaltro, dellâoltre, di un possibile nuovo (che brutta parola!) è eccessivamente lacunosa.
Sebbene io sia dâaccordo con qualche frase del testo di accompagnamento alla mostra firmato Grulli, che in buona sostanza afferma come ci sia oggi una tendenza furbesca e saccentina nella curatela, che non vuole prendersi la responsabilitĂ delle opere ma si autoguida ideologicamente, non possiamo però davvero credere che il Salon sia la soluzione alla curatela ignorante di certuni.
Il Salon stesso della Rizzuto Gallery si posiziona come curatela furbetta ed è un aspetto che dispiace certamente. Come dispiace rilevare come lâideologia di esposizione influenzi le modalitĂ di critica, ritrovandoci in difficoltĂ nel ripensarci (come critica), consapevole di poter risultare altrettanto vecchia.
Ma la mostra è coerente con se stessa e con le sue intenzioni. Lungi dal credere che stiamo vivendo una rinascita pittorica (chi ha letto Godfrey avrà certo già riflettuto su questo e sul fatto che la pittura è stato un medium mai abbandonato) sia italiana che globale, il Salon di Rizzuto si posiziona come un modo per fare il punto su* giovan* pittori e pittrici di questa nuova generazione italiana. (Quasi) tutt* gli artisti e le artiste espost* provengono difatti da accademie italiane e questo ci fa comprendere il reale fil rouge espositivo.
Lâallestimento e la scelta delle opere sono due operazioni assolutamente riuscite alla galleria. Tutte le opere difatti dialogano esteticamente tra di loro, pur appartenendo a modalitĂ pittoriche e percorsi certamente differenti.
Alcune opere potremmo definirle âclassicheâ (per non dire datate): penso ad Alessandro GiannĂŹ (quasi un nuovo espressionista tedesco), Anna Capolupo ed Enne Boi. Altre opere non incontrano il mio gusto personale, per motivi differenti tra loro: Mattia Sinigaglia, Sabrina Annaloro, Cosimo Casoni e Jimmy Milani.Di quest* artist* non parlerò. Punterei dunque lâattenzione su* rimanenti tre artist* della mostra.
Entrando in galleria veniamo accolti da tre opere di Gabriele Ermini. Sono opere âdichiaratamente figurativeâ, dalle prospettive distorte e un senso coloristico che rimanda a Nicolas Party. âUna pittura fatta di corpi, forme, segni, simboli, campiture, elementi grafici e caratterizzata dallâutilizzo spesso contemporaneo di piĂš tecniche e piĂš strumenti, pennello, spray, aerografo, cercando di maturare e mantenere una ricerca formale in battaglia con la retorica del dipingereâ.
La sala migliore rimane comunque lâultima. Lâottimo lavoro dâallestimento ci fornisce un dialogo intimo tra le opere di Silvia Capuzzo e Mattia Barbieri, sebbene diversissime tra loro.
Capuzzo ha una grazia rara, usa la pittura come riflessione sulle cose e sulla visione. âAl centro delle sue sperimentazioni ci sono il quotidiano e il convenzionale, e le sue opere pittoriche, ma anche le sculture e le installazioni, sono una sorta di mappatura di ciò che la circonda. Lâartista osserva e indaga la realtĂ , esalta il dettaglio, si concentra su ciò che spesso passa inosservato e di cui molte volte ci si dimentica; indagala materia nelle sue qualitĂ intrinseche fino a coglierne lâessenza, si immedesima con essa, la descrive, e la sua arte diventa una commossa partecipazione alla vita.â Sono opere commoventi, piene di spinta vitale.
Al contrario, unâaurea e aria mistica, quasi a fondazione di una nuova metafisica, sono le opere di Barbieri. Ă presente un olio su alluminio, ma bellissime sono Madonna con bambino e Salvator mundi, a conferma che non è un problema del tema che si affronta, in arte, ma sempre e solo del come e del modo. Il supporto è aggredito, solcato e al contempo accarezzato pittoricamente. Sono opere potentissime che chiudono il ciclo espositivo di visita nel miglior modo possibile.
La mostra sarĂ visitabile fino al 18 settembre 2021, dal martedĂŹ al sabato, 16.00Â â 20.00 presso la sede di Palermo in Via Maletto.
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