30 luglio 2022

Salvatore Sava, L’altra scultura – Fondazione Biscozzi-Rimbaud

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Il legame con la terra, l'inquinamento, lo sfruttamento delle risorse, sono questi oggi i temi cari alla ricerca di Salvatore Sava, alla Fondazione Biscozzi-Rimbaud di Lecce

Salvatore Sava, L'altra scultura, Fondazione Biscozzi-Rimbaud, Lecce

È natura ricreata quella che si palesa nelle sculture di Salvatore Sava (Surbo, 1966). Non mero soggetto di rappresentazione ma tema da indagare in profondità, combinandone i materiali e ripensandone le forme, in piena coerenza con quanto avviene nella natura stessa, sempre uguale a se stessa eppure in costante cambiamento. Ad essa l’artista guarda con piglio indagatorio, spesso di denuncia, interrogandosi su cosa aspetti l’uomo nel prossimo futuro e su quali siano le strategie da adottare per ritornare ad un equilibrio primigenio. In un percorso che è tanto formale quanto concettuale, Sava non guarda solo alle parvenze sensibili, ma anche ai mutamenti della natura, alle sue dinamiche interne, ai processi trasformativi e alle pratiche produttive, così come ai suoi andamenti nello spazio, dando origine ad opere astratte, asciutte e potenti, in cui l’albero, il nido, le forme organiche non sono che un ricordo, il punto di partenza per una riflessione più profonda, legata più all’essere natura che al suo apparire.

Salvatore Sava, L’altra scultura, Fondazione Biscozzi-Rimbaud, Lecce

Tutto questo emerge chiaramente nella mostra “Salvatore Sava. L’altra scultura” in corso a Lecce, fino al 25 settembre, presso la Fondazione Biscozzi-Rimbaud, istituzione museale nata dall’omonima collezione. Pensata come raccolta non strutturata di opere, generata da “scelte di cuore”, così le ha definite la fondatrice e presidente Dominique Rimbaud, la raccolta ha assunto via via una sua precisa connotazione, rivelando una specifica predilezione dei collezionisti per le ricerche astratte. Fin dall’apertura, nel marzo 2021, chiare sono state le direttrici prioritarie della sua azione culturale: da un lato il costante impegno nella didattica (Dominique Rimbaud crede fermamente nell’educazione all’arte come buona pratica per costituire una società civile migliore), dall’altro la promozione delle opere e degli artisti della collezione attraverso plurime attività di valorizzazione del posseduto. Quest’ultima avviene attraverso esposizioni in grado di ripercorrere per intero o quasi la carriera del singolo autore. Un impegno iniziato con la retrospettiva dedicata lo scorso anno ai bianchi di Angelo Savelli e che oggi prosegue con “L’altra scultura” di Salvatore Sava.

Salvatore Sava, L’altra scultura, Fondazione Biscazzi-Rimbaud, Lecce

Punto di partenza dell’esposizione sono due opere dello scultore presenti nell’allestimento permanente della collezione, Sentieri interrotti del 1998 e Rosa selvatica del 1999, ai quali va aggiunta una terza opera, La coppia muta del 1998, attualmente nei depositi. Tre lavori maturi attorno ai quali, Paolo Bolpagni, direttore tecnico-scientifico della Fondazione e curatore della mostra, struttura l’intero percorso espositivo, ripercorrendo a ritroso gli ultimi trent’anni di carriera dell’artista, oggetto in passato di acute investigazioni critiche, tra gli altri, di Luciano Caramel e di Giuseppe Appella. Alcune sono opere note, altre inedite, datate dagli anni Novanta ad oggi. In particolare, per la prima volta sono presentati i cicli dei neri polimaterici, opere a parete realizzate in legno, resina, fibra di vetro e smalto, e collages metallici su cartone, tutti lavori che rivelano un volto diverso dell’artista.
Incipit della mostra è il titolo, vera chiave di lettura, che nella sua genericità si presta ad una duplice interpretazione. Da un lato, in senso più generale, “l’altra scultura” è quella antimonumentale, in cui i vuoti prevalgono sui pieni e la leggerezza delle forme si contrappone alla pesantezza delle materie, aspetto che Sava, vivendo pienamente il suo tempo, condivide con altri scultori della sua stessa generazione; dall’altro, scendendo nel particolare dell’attività dello scultore, il titolo sembra rimarcare il suo impegno in ambito plastico, chiamando in causa, ad una ad una, tutte le “altre sculture”, oltre quelle conservate nella collezione e quelle già note.

Salvatore Sava, L’altra scultura, Fondazione Biscozzi-Rimbaud, Lecce

Eppure Sava non è stato sempre e solo scultore. I suoi esordi sono legati alla pittura e sono rappresentati da dipinti con paesaggi coloratissimi su cui volteggiano aquiloni. Sul finire degli anni Ottanta, però, si stacca progressivamente dalla bidimensionalità per passare alla tridimensionalità della scultura, mantenendo intatto il suo sguardo sulla natura. Quest’ultimo diviene una costante nella sua ricerca, virando sempre più, in concomitanza con le crescenti istanze ecologiste della società civile, verso una declinazione specificatamente ambientalista. Negli anni a venire Sava abbandona le forme reali per approdare all’astrazione, ad un linguaggio fatto di composizioni che si articolano liberamente nello spazio, in un sottile equilibrio tra pieno e vuoto, non senza possibilità di interazione con lo spettatore, come fossero veri e propri mobiles di cui percepire, all’occorrenza, movimenti e suoni. Anche l’elemento cromatico negli anni si riduce raggiungendo la sintesi. Il nero e il giallo fluorescente, insieme al colore avorio della pietra leccese e al bruno del ferro, divengono protagonisti. Il suo giallo in particolare, innaturale e problematico, protagonista della sua ultima personale alla Galleria San Carlo di Milano, è utilizzato per denunciare le alterazioni dell’uomo sul paesaggio.

Salvatore Sava, L’altra scultura, Fondazione Biscozzi-Rimbaud, Lecce

Il legame con la terra, l’inquinamento, lo sfruttamento delle risorse, sono questi oggi i temi cari alla sua ricerca. Nella sua casa-studio di Surbo, a pochi chilometri dal capoluogo salentino, Natura e Arte convivono in simbiosi, si affiancano fino a confondersi. Non c’è soluzione di continuità tra le opere e la terra messa a coltura, le une riflesse nell’altra, le prime natura ricreata, la seconda arte al suo stato primigenio. Nelle sue opere superfici o grovigli materici tradiscono la loro natura inerte, compenetrandosi con l’ambiente circostante e rivelando imprevedibili pulsioni organiche. La forma si apre mentre lo spazio si ritrae e si espande in reciproca corrispondenza. La sua scultura s’impone con leggerezza e decisione, animandosi nel gioco sottile dei vuoti e dei pieni, nell’intercambiabilità di spazi e di volumi. Nel contatto con la terra l’artista rintraccia quotidianamente le sue radici, ma il valore memoriale in lui non si traduce in una nostalgica rivisitazione del passato ma diviene veicolo di rigenerazione, strumento attivo più che contemplativo attraverso cui incidere sul presente per contribuire a riprogettare il futuro.

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