Turn on the bright lights © Danilo Donzelli Photography
La mostra collettiva da Nicola Pedana a Caserta, “Turn on the bright lights”, a cura di Domenico de Chirico, ci offrono un campionario significativo delle diverse e particolari visioni del mondo di una generazione di giovani quarantenni interessati a dialogare con la luce, esplorando le diverse e variabili lunghezze d’onda alla ricerca di una nuova visione. Lo spettro di luce visibile all’occhio umano è un mistero per come essa esercita la sua energia a contatto con la materia e i corpi, nella conseguente varietà di irradiazioni elettromagnetiche. In tutte le opere presenti la luce diventa essenza tautologica, luminosa e nel contempo misteriosa, dando vita a significativi mutamenti e attraversamenti che irradiano la materia per divenire energia sintetica e momento rappresentativo inaspettato. Da diverso tempo gli artisti si sono chiesti come si comporta la luce a contatto con un corpo, Paul Cezanne diceva: “La luce è una cosa che non può essere riprodotta ma deve essere rappresentata attraverso un’altra cosa, attraverso il colore”.
Nella pratica artistica di Santiago Evans Canales, messicano classe 1996, prende spunto da personali riferimenti autobiografici, capaci di generare una visione fantastica che distanzia sempre più in là il confine illusorio tra realtà e finzione, mentre Kristian Sturi, di Gorizia classe 1983, la luce è lo strumento per approfondire l’indagine sulle potenzialità espressive dai materiali industriali utilizzati. Nei lavori di Marco Rossetti, Accademia di Belle Arti di Napoli classe 1987, con la fotografia e la scultura traccia momenti e immagini decontestualizzati ritrovati dalla memoria storica e riportati ad un presente caratterizzato da insoliti e coinvolgenti illusioni sensoriali. Anche l’artista minimalista Johanna von Monkiewitsch di Colonia classe 1979, indaga il rapporto che c’è della luce con l’ombra alla ricerca di una isostanziale e quando meno precaria apparizione illusoria.
Identità e macrocosmo umano sono i temi preferiti di ricerca trattati da Stefano Perrone, Monza classe 1985, con volti, corpi e posture spesso deformati in cui le geometrie, la grafica vettoriale vanno a costituire entità mutevoli piuttosto che rappresentazioni di corpi umani, tra una rappresentazione destrutturata e resa inconsistente da uno spazio anemico che accoglie e muta un mondo in bilico tra sensualità e consapevolezza. La particolarità della sua pittura sta nel dipingere l’assenza, soffermandosi con attenzione sui dettagli di una scena prelevata volutamente da immagini di altri, attraverso i social network e privilegiando solo una parte di essa nel tentativo di rappresentare l’energia, la luce, la sua forma e il suo colore. Rappresentare l’assenza del vuoto, “è come un ricordo che ci sfugge” attestandosi ad un limite di confine tra figurazione e astrazione della visione.
Infine, vi è la straordinaria visione di una grande e significativa artista come Vickie Vainionpaa classe 1992, che indaga da diverso tempo l’impatto della tecnologia sul processo della pittura, tra forze naturali e processi digitali. Un connubio perfetto tra elaborazione pittorica e ricerca artistica di un’artista da seguire prossimamente, visti i concreti risultati già raggiunti. Nella sua importante serie di lavori Soft Body Dynamics, le forme tubolari torsionali vengono generate utilizzando un software di modellazione 3D, con un numero prestabilito di spline al giorno, da cui l’artista, poi, sceglie di creare le composizioni dipinte utilizzando il colore e l’olio su lino. Sono forme metafisiche mutevoli che si curvano, si piegano e si trasformano nello spazio verso un’estensione infinita e illusoria e soprattutto, in rapporto tra il corpo rappresentato e la sua energia dinamica. Da questa originale weltanschauung nasce la straordinaria visionarietà di questa interessante giovane artista contemporanea. Fino al 30 dicembre.
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