È stata probabilmente la miniserie Qui non è Hollywood, presentata con grande successo in anteprima alla diciannovesima edizione della Festa del Cinema di Roma e fra le più viste in Italia su distribuzione Disney+, a far conoscere al grande pubblico Pippo Mezzapesa, raffinato e talentuoso regista italiano. Un lavoro che ha sorpreso chi si aspettava la solita serie crime, stavolta sull’omicidio della giovanissima Sarah Scazzi ad Avetrana, facendo trovare invece chi guardava davanti ad un’opera di enorme spessore umano e di rara sensibilità nell’affrontare, fra l’altro con attori straordinari come la meravigliosa Vanessa Scalera, le infinite sfaccettature dell’animo umano e disumano. Cifre stilistiche che, per chi lo segue da tempo, contraddistinguono da sempre il lavoro di questo regista con all’attivo ormai una serie di opere decisamente interessanti, premiate e segnalate dalle più importanti rassegne e assolutamente anche da rivedere e riscoprire. Incontro Pippo Mezzapesa, per una chiacchierata sul suo lavoro, l’impegno come artista e i suoi nuovi progetti.
Nella tua biografia leggo di un ragazzo appena ventenne che agli inizi del 2000, mentre studia Giurisprudenza, inizia a fare cinema. Oggi, a distanza di anni e dopo tanto percorso fatto, se dovessi descriverti come racconteresti Pippo Mezzapesa e il perché del suo amore per scrivere e fare cinema?
«Fare cinema per me è l’unico modo per osservare, interpretare, vivere ogni momento della mia esistenza. È stata una totale e immediata immersione. Ho individuato da subito nel cinema la forma di racconto di tutti quei meravigliosi paradossi che colgo nella realtà e di tutte quelle assurde anime che la popolano. Non ho deciso di scrivere per il cinema, ho naturalmente trasformato in storie e personaggi tutto quello in cui mi imbattevo, tutti gli individui che incrociavo o in cui semplicemente sognavo di imbattermi. Ho cercato di creare un mondo ideale, metà reale metà inventato, in cui vivere la mia quotidianità. Ho pensato e scritto storie, raccontato anime che vivono costantemente con me».
Qui non è Hollywood ha avuto il grande valore di riportare in primo piano Sarah Scazzi con la sua adolescenza e le sue emozioni, facendola vivere non solo come vittima di una vicenda orribile. Questo valendo anche per il racconto degli altri protagonisti della vicenda, colti in un affresco umano di inquietante, banalissima normalità. Pensi che sia questo particolare punto di vista, lontanissimo dalla solita crime story, che stia decretando il successo che sta avendo quest’opera?
«Sono davvero molto soddisfatto per il riscontro che la serie sta avendo, per la stima e l’affetto che tutti noi che vi abbiamo lavorato stiamo ricevendo. Sin dall’inizio, c’è stata la volontà condivisa con gli sceneggiatori e i produttori, di adottare un punto di vista nuovo, non solo di chi, ciascuno a suo modo è carnefice, ma anche della vittima. L’obiettivo, sin dall’inizio, era andare oltre i personaggi ben presenti nell’immaginario comune e indagare l’animo degli individui coinvolti in questa triste storia. Esplorarne la psicologia, l’efferatezza ma anche la debolezza. Riconciliarsi con gli esseri umani coinvolti nel dramma. Spesso nel racconto del true crime si approfondisce la psicologia del carnefice, ancora più spesso dell’investigatore, quasi sempre si tralascia la vittima, quasi la si dimentica. Il nostro intento era darle voce, farla rivivere con la sua bellezza, la voglia di evasione, leggerezza, con le sue fragilità, con i suoi anni giovani e tragicamente interrotti. L’abbiamo trovato il modo più onesto per raccontarla ma anche per renderle omaggio».
Il tuo cinema si è sempre occupato di temi sociali. Dal 2005 con il documentario Produrre consumare morire che indagava sui disastri e le morti causate dal Petrolchimico di Brindisi o nel 2017 con La giornata che raccontava la vicenda di Paola Clemente, bracciante di quarantanove anni morta di lavoro nelle campagne pugliesi, fino ad arrivare al raffinatissimo e potente Ti mangio il cuore del 2022, che hai scritto e diretto. Il racconto delle vicende della prima pentita di mafia del Gargano, con una straordinaria Elodie come protagonista, che fu selezionato nella sezione Orizzonti della 79ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Alla luce dell’impegno su temi così importanti, e ci sarebbe molto altro ancora da citare, pensi sia ancora ascoltata e necessaria oggi la voce dell’artista, dell’intellettuale che crea e racconta verità anche scomode?
«Sì, assolutamente. Il cinema, in tutte le sue forme, finzionali, documentarie, seriali, ha una straordinaria forza narrativa e moltiplicativa messa a nostra disposizione, noi possiamo utilizzarla per far luce su zone d’ombra e, spesso d’ingiustizia. Ogni volta che ho toccato temi sensibili, storie spesso sconosciute, dall’inquinamento delle grandi fabbriche, allo sfruttamento delle lavoratrici nei campi fino ad arrivare a una mafia, come quella garganica mai finora raccontata, sento di aver contribuito, in qualche modo, a rendere più breve e quindi più percorribile la distanza tra quello che non si sa e quello che si deve sapere, perché si provi almeno a cambiarlo».
Qui non è Hollywood è anche il ritratto impietoso dei media che diventano circo di parole, atteggiamenti e fraintesi dolosamente creati nella cronaca per attratte audience. Pensi che sia ancora possibile, invece, incidere nelle coscienze, creare pensiero critico? Nel tuo caso, con la scrittura e con il cinema?
«Ho grande fiducia nella potenza generativa dell’arte, anche se la velocità, il sommario processo di visione e metabolizzazione, di digestione quasi, di quel che si vede o legge porterebbe a ritenere il contrario. Ritengo che quanto viene prodotto dagli artisti, dagli autori, mantiene ancora un valore di resistenza interpretativa e in generale di approfondimento ancora potente della contemporaneità; sento di affermare che l’arte, la scrittura, il cinema, possono ancora suscitare momenti altissimi di pensiero critico, capaci di tenere accesa una fiammella che sta anche a noi autori provare a trasformare in un incendio, con la forza delle nostre scelte tematiche e del nostro linguaggio».
Quali sono ora i tuoi progetti? Quale la nuova storia che vuoi raccontare?
«Ho due desideri al momento: da una parte restare nel solco del true crime, dall’altro tornare al cinema d’invenzione, mantenendo sempre salda l’aderenza al reale, ai personaggi, all’umanità che esprimono. Spero di realizzarli presto, entrambi».
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