Il nome è di buon auspicio. Piazza Rivoluzione, nel cuore del centro storico di Palermo, è stata teatro, nell’Ottocento, di numerosi moti rivoluzionari votati all’abbattimento del vecchio ordine. Oggi, il re barbuto che siede al centro della piazza, con i piedi zuppi dell’acqua della fontana che porta il suo nome, è stato scelto quale nume tutelare dei giovani artisti attivi in città. Il Genio di Palermo, simbolo antico e controverso del capoluogo siciliano, è diventato così anche il nome della manifestazione che da cinque anni ormai -attraverso l’apertura al pubblico degli studi degli artisti e la collaborazione con prestigiose istituzioni europee per progetti di artists-in-residence– garantisce visibilità e respiro ad una situazione che negli anni si è scoperta sempre più vivace e ha trovato poi, anche fuori da questo contesto, importanti conferme in Italia e all’estero. Il successo di Domenico Mangano, debuttante all’edizione 2000, costituisce forse l’esempio più eclatante delle imprevedibili interferenze che possono attivarsi fra centri e periferie dell’arte.
Così, in un ribaltamento di prospettive, il motto del Genio alios nutrit, suos divorat – che nell’interpretazione popolare valeva come un ineluttabile destino di condanna per i figli di questa città, generosa solo con chi la sceglieva da fuori – significa oggi soprattutto il bisogno di una costante ricerca di confronti e stimoli nuovi, di opportunità fino a non troppo tempo fa insondate, di messa in gioco e definizione di identità che sentono di doversi nutrire di altro per crescere e maturare una propria specifica caratterizzazione; e divorare così, con acquisita consapevolezza, quei vincoli di appartenenza troppo stretti, quel sentimento di impossibilità del fare, se non all’ombra di situazioni troppo spesso viziate da controlli monopolistici e da pericolose forme di protezionismo culturale.
Non sorprenderà allora scoprire che, proprio in piazza Rivoluzione, di fronte alla fontana del Genio, da più di un anno, un nuovo locale palermitano, Aréa, è ormai diventato un punto di riferimento importante per i giovani artisti palermitani, non solo come luogo di ritrovo modaiolo, ma anche, e soprattutto, come vero e proprio “contenitore” espositivo -molto spesso l’unico- attento alle ricerche dei giovani e dei giovanissimi che operano in città. Quasi un laboratorio autogestito, non per niente da giovani artisti, decisi a fare da soli, in spirito di autonomia, e di (quasi) totale indipendenza dai riferimenti ingombranti di cui questa generazione ha imparato presto a fare a meno. Magari solo per cercarne agevolmente di nuovi, a proprio uso e consumo.
Jardin Planétaire è il titolo del progetto cui Alessandro Di Giugno lavora già da alcuni mesi. Il titolo in francese tradisce l’attitudine neo-positivista del fotografo palermitano che intende classificare, all’interno del suo giardino planetario, un materiale umano estremamente complesso e variegato secondo una naturale collocazione nel mondo, in cui ogni diversità, qualunque ne sia la forma o la sostanza, si risolva cioè naturaliter, nella bellezza di un pieno armonico totalizzante. Non è un caso, allora, se molte sue produzioni fanno il verso al ritratto fotografico in posa d’ottocentesca memoria, allo scientismo immobile di uno sbiadito dagherrotipo. Sia i personaggi che i luoghi dei suoi scatti sono scelti con grande cura, dopo numerosi provini e sopralluoghi. La foto così realizzata, benché operata in laboratorio, non risulta mai artefatta. È la personale impronta dell’artista a caratterizzarla nel senso di un raffinato pittoricismo che dichiara onestamente la seduzione ingannevole della sua impostazione.
Divertenti, divertentissimi i ragazzi del Laboratorio Saccardi: Vincenzo Profeta, Marco Barone, Giuseppe Borgia, Toti Folisi giocano con l’arte, ma fanno sul serio. La volontà dichiarata di demistificare contesti, operazioni, personaggi dell’universo arte, di ieri e di oggi ha il sapore di un innocuo, ed in fondo umanamente rassicurante, gioco al massacro. Tutto è arte e niente è arte: una consapevolezza cui si era arrivati già da tempo e per altre vie, insignificante nello stesso momento in cui la si dichiara, vale oggi
Domenica 21 marzo, prima giornata di primavera, è stata occasione di un doppio debutto per Valentina Glorioso. La giovane artista palermitana ha inaugurato in mattinata, all’interno del Parco di Villa Trabia a Palermo, l’installazione “Sweet Home”,
Le zuccherose immagini rubate all’ultima delle più patinate riviste di moda, raccontano con efficacia il ribaltamento di un mito, la realtà astratta di un matrimonio chiavi in mano da cui è saggio tenersi alla larga. Senza sconti e senza inutili compromessi.
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senza parole????????????????????????
....e quannu mai.....