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Succede nel vecchio piano della Fieravecchia, sotto gli occhi protettori di una storia mitologica cangiante, che raccoglie l’assenza della vecchia Cerere, rimpiazzata dall’altrettanto laico nume tutelare della città. Il Genio, protagonista iconografico dei moti rivoluzionari anti-borbonici, ammantato del tricolore dal popolo intorno a lui radunato, personificazione elettiva di un desiderio di cambiamento e riscatto.
Lungo la circonferenza della piazza, al numero 9, da qualche mese Adalberto Abbate (Palermo, 1975) ha aperto uno spazio che da questa mutua il nome, assorbendone e riattualizzandone il sentimento, il desiderio di sconvolgimento di un ordine prestabilito, che in questo caso riguarda le dinamiche del mondo dell’arte contemporanea, «la politica, l’impegno collettivo, la resistenza individuale».
Sette artisti di origini e generazioni diverse raccontano il fango della corruzione, il marcio dell’arte, della politica, della vita, di una città come Palermo, in cui la “guerriglia” sociale muove dalla strada ai salotti nel continuum limaccioso di una società che si sfalda qua e là.
L’icasticità espressiva di Adalberto Abbate e Santiago Sierra (Madrid, 1966) si fronteggia nella simmetria dello spazio, da un lato all’altro di un vano che si apre decrepito oltre il cortile interno del palazzo. Le mura sgretolate e lo scheletro architettonico di un’intelaiatura lignea diventano veicolo dell’idea che sottende l’intero progetto, mosso dalla veemenza della denuncia senza compromesso. Così appare qui il dialogo tra questi artisti, accomunati da un percorso indipendente, votato a una visione militante dell’arte, o meglio, a un modo di operare divergente rispetto al mondo istituzionale e alle sue determinanti ideologiche.
Fango a Palermo, riferito ad una persona, è l’infame, è chi è avvinto da un senso sporco della moralità, ridotta alla poltiglia informe di un animo disumanizzato. Fango è il terreno paludoso destinato a precipitare, un’ondata torrentizia che s’insinua nelle intercapedini precarie del disagio, ma che slama la melma stantia, interrogandola e rimettendola in subbuglio perché possa rigenerarsi.
Così Calixto Ramírez (Reynosa, Messico, 1980), ha cercato di trovare un suo posto a Palermo, dove ha vissuto durante gli ultimi mesi, inserendosi nelle fratture di questa città, spingendo il proprio corpo ad adattarsi a situazioni scomode e poco accoglienti. È il caso del tempio barocco dell’immondizia, santuario dell’indifferenziato accumulato lungo le strade di certi quartieri.
FANGO Vol.1, vista della mostra, Spazio Rivoluzione
Sandro Mele (Melendugno, Lecce, 1970) ripensa il tema dell’accoglienza riportandolo alla questione della preventiva e necessaria creazione di strutture di umanizzazione, che non riguarda solo l’immigrazione, ma anche alcune diffuse condizioni lavorative, dall’artista studiate attraverso una ricerca quasi giornalistica. Sceglie qui di esporre, come fosse una lapide, la foto di Hyso Telharaj, bracciante albanese ucciso dal caporalato in Puglia, per inseguire invano un’idea di giustizia. Come lui, lavoratori in miniera, licenziati, condannati da sistemi disumani, sono vittime del rovinoso franare di una società in frantumi.
Il problema adesso è chiedersi quale sia la funzione dell’arte, se può essere vissuta come un’azione politica, cosa significa essere un’artista. Forse guardare a questo FANGO spinge anche a riconsiderare l’idea di un’arte spesso vissuta come strumento di intrattenimento, in un sistema generale in cui il valore di una persona, di un’artista, è misurato e sancito da parametri culturali egemonici, da determinanti ideologiche che devono essere messe in discussione.
Lapidarie, le frasi di Mario Consiglio (Maglie, 1968), Holocaust, stato io ti odio, si confrontano con l’epigrafica immagine di Jota Castro (Yurimaguas, Perù, 1965), in cui il mito dell’America, il monumento all’Occidente, è provocatoriamente generato dalle natiche. Da queste, s’intuisce, ha origine il capitalismo imperante, il culto della guerra, l’idea di una globalità traviata, l’imposizione di culture dominanti su altre. Fa da eco il “manifesto” di Franko B (Milano, 1960), Fuck your democracy, che rievoca le molestie inflitte alla parola democrazia, di volta in volta piegata a servire interessi politici, umiliata e mutilata. Il fango, a volte, è l’essere viziati da un eccesso di autolegittimazione retorica, è la vocazione all’uso delle armi, di una violenza che può serrare una città in un perenne stato di guerra. Non saprei come leggere altrimenti l’immagine a dimensione quasi reale della donna siciliana in posa, appoggiata ad una bomba, come fosse il cimelio di un’antica storia identitaria (Adalberto Abbate).
Serve ancora il mito. Racconta Gaio Giulio Igino (64 a.C.) che la dea Cura fu attratta un giorno dal fango argilloso e, iniziando a plasmarlo, chiese a Giove di infondergli linfa vitale. Ne nacque una disputa, risolta alla maniera degli antichi dei. Ad ognuno di loro toccò qualcosa dell’appena generato essere, chiamato uomo perché creato dall’”humus”, dal fango. Ma a possederlo durante tutta la vita sarebbe stata l’inquietudine, la prima a foggiarlo. Perché “cura” in latino è anche l’ansia, l’affanno, l’inquietudine, il pericolo, già inscritto nel logos mitico antropogonico, di rimanere impantanati in un fango che immobilizza il progresso individuale, artistico, sociale, la creatività e l’espressione. E, a ripercorrere la lettura del mito che fa Heidegger in Essere e Tempo (1927), qui si manifesta l’autenticità/inautenticità dell’uomo, la cura, che, come condizione originaria dell’essere, rende possibile il farsi umanamente carico dell’altro.
Ecco che, tuttavia, quello che Adalberto Abbate definisce “effetto fango” vive anche di eventualità rigenerative, della possibilità non so se di sanare, ma quantomeno di avvicinarsi a questo disagio esistenziale. Personale, politico, poetico.
Giuseppina Vara
mostra visitata il 14 dicembre
Dal 16 novembre al 28 dicembre 2018
FANGO Vol.1, Adalberto Abbate, Jota Castro, Mario Consiglio,
Franko B, Sandro Mele, Calixto Ramírez, Santiago Sierra
Spazio Rivoluzione
Piazza Rivoluzione, 9 Palermo
Orari: venerdì 18.00-21.00