“
Il sentire più profondo si rivela nel silenzio”, scriveva Marianne Moore nel 1924. Parole che sembrano cucite addosso ad un’artista come
Elisa Montessori (Genova, 1931), ispiratasi spesso alla letteratura -da Shakespeare a Derek Walcott, da Silvya Plath alla stessa Moore- per opere che, come composizioni poetiche, si nutrono di sospensioni e accelerazioni, sottrazioni e accumulazioni. Palesando una forte relazione con l’essenza della parola e le dinamiche della scrittura, i segni visivi si incastrano tra pause, intervalli, vuoti. Non è un caso che proprio a
John Cage, suonatore di silenzi densi come note, l’artista intitolò nel 2006 un ciclo di collage e acquerelli.
Dilatazioni meditative e ramificazioni gestuali, pathos e rigore, presenza e assenza, caos e struttura: il lavoro di Elisa Montessori, sbocciato in ambito romano nei primi anni ’50, risentì delle sperimentazioni informali, con particolare riferimento al gruppo Origine, raccolse la lezione di maestri come
Mirko Basaldella e
Cagli, attinse a piene mani dalla cultura orientale e, intorno agli anni ’70, si spinse verso un concettualismo non scevro di componenti liriche e oniriche.
L’ampia personale palermitana riesce bene a tratteggiare il profilo di un’artista storicizzata e complessa. L’iter espositivo si divide in due sezioni, composte da cicli recenti e da produzioni realizzate ad hoc. Assai efficace la prima parte, dedicata agli eleganti lavori su carta, supporto molto amato dall’artista.
I
Capogiri, lunghi rotoli di carta catramata, ribaltano la prosaica ruvidezza di un materiale industriale: i preziosismi calligrafici, le evoluzioni gestuali, le trame di disegni e monotipi, le calibrate esplosioni di neri, rossi, dorati e,
in primis, la circolarità della forma-pergamena, evocano la tradizionale pittura kakejiku come l’avanguardia
Gutai, gli sperimentalismi di
Mathieu e la minuzia senza tempo degli antichi manoscritti zen.
Se nei rotoli il gioco della vertigine cronologica consegna gesti, corpi, memorie a una temporalità rovesciata, ripetuta e ininterrotta, nell’opera dedicata a Salvatore Sciarrino il tempo diventa sostanza effimera, declinata tra il bianco e nero di grandi pagine da sfogliare come partiture sinestetiche. Montessori, traducendo il suono in immagine astratta, realizza un libro d’artista che ripercorre il
Lohengrin del compositore siciliano. Il dramma wagneriano, riletto dalle austere rarefazioni rumoriste di Sciarrino, diventa qui un’ode al silenzio, inteso come sublime concentrazione di un’avventura spirituale.
Delicatezza e poesia dell’infinitesimale nei piccoli acquerelli ispirati alle
Farfalle di Gozzano: passaggi tonali e fragili sovrapposizioni di forme ricalcano rumori d’ali d’insetto e ritmiche fenditure d’aria.
Nella sezione pittorica, tra i vari soggetti paesaggistici spiccano alcuni piccoli dipinti, capaci di restituire spazi naturali e atmosfere d’Oriente con pochi tocchi di colore grumoso e ampie stesure materiche. Così, nella
Passeggiata del Mandarino, una distesa azzurra, divenuta spazio d’attesa e di meditazione, accoglie il cammino solitario di un uomo, precario punto d’intersezione tra la parabola breve della materia e l’infinito mistero del cielo.
Visualizza commenti
Ma Helga perchè fai le recenzioni sempre e solo per due o tre gallerie di Palermo?
Caro Mario, ma quante gallerie, su cui convine scrivere, credi ci siano a Palermo?
Caro Paolo, ma quali fenomeni di artisti ci sono in questa associazione culturale da recenzire in continuazione. A mio avviso si vuole distrarre l'attenzione da artisti siciliani di valore che tutti conoscono e che vivono nell'isola o altrove, di cui volutamente non si vuol parlare.
Mio caro le lobby sono sempre le stesse!!!!!