Mimmo Germanà opera a Roma sin dagli anni Sessanta dove, nei vivaci laboratori della capitale, sperimenta una prima fase concettuale. Raggiunge la maturità espressiva negli anni Ottanta aderendo alla Transavanguardia, movimento tenuto a battesimo dal critico Achille Bonito Oliva. Germanà diventa uno dei protagonisti di questa corrente e nel 1980 partecipa con successo alla Biennale di Venezia imponendosi all’attenzione internazionale.
L’arte è approdata, sul finire degli anni Settanta -secondo quanto afferma lo stesso Bonito Oliva– ad un vicolo cieco: “L’ideologismo del poverismo e la tautologia dell’Arte concettuale trovano un superamento in un nuovo atteggiamento che non predica alcun primato se non quello dell’arte e della flagranza dell’opera che ritrova il piacere della propria esibizione, del proprio spessore, della materia della pittura finalmente non più mortificata da incombenze ideologiche e da arrovellamenti puramente intellettuali”. Nel momento in cui diminuisce l’esigenza di sperimentazione a tutti i costi, si inizia a prendere coscienza di una crisi nell’evoluzione dei linguaggi artistici. La Transavanguardia propone il ritorno al mestiere dell’arte, alla manualità, al personale, al mito, ad un ricco immaginario simbolico, espresso attraverso una totale libertà conoscitiva, definita in termini più specifici “nomadismo culturale” ed “eclettismo stilistico”.
Il percorso di Mimmo Germanà come artista s’inserisce proprio in una traiettoria specifica che rifugge dalla tautologia dell’arte per riscoprire l’aspetto simbolico e mitologico, aspetto che in alcuni casi scaturisce dall’esperienza personale. La sua opera attraversa i linguaggi contemporanei rielaborando o citando in maniera puntuale brani della tradizione ed amalgamandoli in un’intensa sintesi di forme e colori. La citazione diventa evidente e consapevole, definendo uno degli aspetti centrali che caratterizza il gruppo italiano della Transavanguardia.
Le opere esposte alla Galleria Prati sono state realizzate tutte tra il 1980 e i primi anni del decennio successivo: importante silloge della maturità dell’artista. Nelle pennellate dense e nei colori materici si leggono chiari accenti neoespressionisti. La pittura di artisti come Matisse, Jawlenskij, Nolde, Kirchner, guida la foga del pennello di Germanà che con grande disinvoltura si muove tra i vortici di colore che danno vita ad una natura avvolgente e seduttrice. La donna, dalle forme nutrite di forza e voluttà, diventa regina di questo spazio caotico, parte del paesaggio naturale cui l’artista da corpo e materia. Le figure femminili, imponenti come divinità ctonie, dal profilo greco, rimandano all’iconografia classica: nuove Arianne dei paesaggi “malinconici” dechirichiani o “bagnanti in corsa” del Picasso neoclassico. Nell’opera di Germanà il primitivismo delle forme s’incontra, in un abbraccio caldo e caotico, con la carica dionisiaca dei colori, approdando ad un sapiente gioco pittorico che Francesco Gallo ben definisce “espressionismo mediterraneo”.
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Ohhhh! Finalmente una novità! Un'artista all'avanguardia! Anzi alla Trans...avanguardia, Lapo ne sarà entusiasta! Adesso si che Palermo è veramente avanti!! Bene bene!