Il settecentesco Palazzo Sant’Elia, nel cuore della Palermo storica, ospita una delle più importanti mostre d’arte spagnola degli ultimi decenni: una straordinaria galleria di opere che dal 1957, momento di svolta nel panorama dell’arte iberica, arriva fino ai nostri giorni.
Attraverso una complessa articolazione di sezioni tematiche, il curatore Demetrio Paparoni accosta artisti e movimenti diversi, seguendo una logica affascinante ma non priva di forzature, scaturite a tratti da personalissime suggestioni. Gli ampi saloni del Palazzo, recentemente restituiti all’originale splendore, sono il perfetto scenario per questo viaggio nel complesso immaginario spagnolo.
La mostra nasce da un’idea di Paparoni e Molina, allora direttore dell’Istituto Cervantes di Madrid: si pensava a una grande rassegna sull’arte ispanica da organizzare in Italia. Una serie di coincidenze e motivazioni hanno portato alla decisione di allestire la mostra a Palermo: innanzitutto la bellezza di Palazzo Sant’Elia che, affacciandosi sulla celebre via Maqueda, rievoca i tempi dei vicerè; poi la relazione con la nuova sede palermitana del Cervantes, che nonostante l’allettante location presso Sant’Eulalia dei Catalani è rimasta in questi due anni inspiegabilmente nell’ombra; infine, il sostegno dato dalla Provincia di Palermo e dal nuovo Darc, il dipartimento per l’arte e l’architettura contemporanea.
Alla casualità s’è poi unita la storia, una storia di quattrocento anni di dominio spagnolo in Sicilia, prodromo per un auspicabile sviluppo culturale comune.
L’iter espositivo -che alla classica suddivisione cronologica ne contrappone una tematica articolata per sezioni, dall’
existencialismo barocco al
tenebrismo hispánico, fino al misticismo pagano- parte da una carrellata d’immagini di
Ramón Masats: fotografie di riti, tauromachie e processioni mettono in luce aspetti centrali della cultura spagnola, quali la ritualità religiosa e la tradizione. Da qui prende avvio una delle sezioni più interessanti, il
Quijotismo tragico. Partendo dal Quijote, uomo moderno, eroe del fallimento esistenziale, si analizza l’aspetto tragico della lotta. I personaggi inespressivi di
Juan Muñoz vivono in una dimensione alienata dove gli specchi o le pareti con cui sono intenti a dialogare si aprono come scenari ciechi sulla realtà: un tentativo frustrato di cogliere ciò che esiste
dall’altra parte. L’uomo di poliestere e resina pensato da
Bernardí Roig rimane invece vittima inconsapevole della luce accecante di una cascata di tubi di neon.
L’omaggio al Quijote diventa esplicito nell’opera di
Francisco Leiro che, attraverso le sue sculture-fantoccio in bilico su travi di legno, racconta la violenta tragicità del quotidiano. Il tema del pestaggio torna nell’opera
El castigo di
Rafael Canogar, un’opera che allude al clima di tensione sociale della Spagna franchista. Utilizzando un linguaggio realista, si mette in scena un dramma collettivo in cui lo spettatore si trova necessariamente coinvolto. Seguono le grandi tele drammatiche di
Tàpies,
Millares,
Saura: croci, tagli e cuciture illustrano, tra larghe pennellate di rosso e nero, quel tipico
Tenebrismo ispanico in cui il curatore individua un’altra tematica guida.
“
L’arte spagnola”, scrive Paparoni, “
è sempre bipolare, sempre in bilico tra realismo e idealismo, pragmatismo e utopia, razionalità e dimensione onirica, cattolicesimo e misticismo pagano, nazionalismo e regionalismo”.
Javier Pérez, con
Un sueño largo, racconta l’altra faccia dell’agonia, la dimensione magico-onirica: il suo letto di cartapesta lungo dodici metri perde la relazione con la realtà per diventare varco, luogo di passaggio ed evocazione. Con la stessa poesia,
Adolfo Schlosser traccia le curve di un’onda, utilizzando legno di rosa e cotenna di maiale che, cuciti insieme, danzano in bilico su un frammento di roccia.
L’intero percorso espositivo si muove elegantemente tra realismo e idealismo e, partendo da
Picasso,
Miró e
Dalí, arriva ai nostri giorni: se
Enrique Marty, giovane stella dell’arte contemporanea spagnola, grida l’orrore con nauseante realismo,
Cristina Iglesias ci offre ancora un rifugio in bronzo e resina dove poter riposare.
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tutto dire! la provincia non ha uscito una lira!
viva palermo e la sua ambizione di cultura a prestito.
..e con questa mostra abbiamo chiuse le proposte culturali della citta' di palermo!
una puo' bastare!basta o ci affatichiamo le meningi!
grazie palermo
e
grazie sindaco che so anche e' stato ricoverato!spero tutto bene!
i miei omaggi!