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Un silenzio ininterrotto avvolge i paesaggi di Francesco De Grandi (Palermo, 1968). Li scolpisce e li vivifica, come un filtro che riveste la memoria emotiva di luoghi conosciuti. Sono luoghi taciturni, sempre: non c’è anima viva tra le pianure nebbiose, i boschi cupi, gli scorci fluviali; nessuna traccia di presenza umana, nessun oggetto superstite. Paesaggi puri, svincolati da logiche narrative o allegoriche.
Pregni di ottocentesco romanticismo, i dipinti di De Grandi lasciano affiorare qui e là l’eco di insospettabili derive fantascientifiche, residui di presagi apocalittici o di allucinazioni post-atomiche. Quell’ultimo spettatore friedrichiano, ammutolito dinanzi a una natura sublime, esce di scena e consegna al presente il suo sguardo: l’immanenza del corpo vedente, piazzato al centro del quadro e tutt’uno con il luogo guardato, cede il passo a un’assenza visionaria contaminata da spettri, utopie, perversioni, simulacri contemporanei.
Quattro grandi tele costituiscono il corpus della mostra che Palazzo Sant’Elia ospita a corollario del progetto España. Prima personale dell’artista nella sua città natale, Paesaggi, ispirata ad alcuni scorci agresti siciliani, rappresenta una puntuale e concisa messa a fuoco della sua ricerca più recente.
Abbandonate via via atmosfere dal sapore metropolitano e suggestioni cyberpunk, De Grandi insegue negli ultimi anni una compenetrazione totalizzante con la sostanza fisica e ideale del paesaggio. Eppure, a emergere non è l’idillio di una natura incontaminata, realisticamente riprodotta. La maestosa verità di una montagna, stagliata sul fondo della tela, sbuca da un cielo denso, tra corsi d’acqua e banchi di nuvole pesanti, mentre si confondono le texture acide dell’aria, della roccia, dell’erba scura. L’immagine, apparentemente una placida rappresentazione bucolica, nasconde una perturbazione sotterranea.
Il paesaggio diventa il luogo di un accadimento: un incidente percettivo, uno stravolgimento onirico, un’epifania eidetica. Spazio di realtà che la pittura ri-prende, con la sua carne e le sue ombre, per accedere all’enigma della visione cinematografica. Così è per gli alberi tormentati da rigonfiamenti corticali, che De Grandi restituisce con accurato realismo, trasformandoli al contempo in ammassi di materia crepitante. O per le due robuste radici, immerse in un pulviscolo rosa, che estremizzano un processo pittorico sospeso tra realtà e immaginazione, mimesi e sogno, rappresentazione della cosa e presentazione dell’evento puro. Oggetti quasi indecifrabili, tesi verso l’astrazione, i due corpi vegetali raggiungono un alto livello di lirismo ed essenzialità.
Sono dunque dei concretissimi frammenti di natura a sperimentare una dimensione tutta mentale, spalancata sull’infinito. Per una pittura che, in accordo con le parole di Rosario Assunto, sappia cogliere del paesaggio quel suo essere “spazio limitato” e insieme “aperto, perché a differenza degli spazi chiusi, ha sopra di sé il cielo, cioè lo spazio illimitato”. Un cielo pulsante e plumbeo, da cui lo sguardo non si stacca, fino alla fine dell’orizzonte.
Pregni di ottocentesco romanticismo, i dipinti di De Grandi lasciano affiorare qui e là l’eco di insospettabili derive fantascientifiche, residui di presagi apocalittici o di allucinazioni post-atomiche. Quell’ultimo spettatore friedrichiano, ammutolito dinanzi a una natura sublime, esce di scena e consegna al presente il suo sguardo: l’immanenza del corpo vedente, piazzato al centro del quadro e tutt’uno con il luogo guardato, cede il passo a un’assenza visionaria contaminata da spettri, utopie, perversioni, simulacri contemporanei.
Quattro grandi tele costituiscono il corpus della mostra che Palazzo Sant’Elia ospita a corollario del progetto España. Prima personale dell’artista nella sua città natale, Paesaggi, ispirata ad alcuni scorci agresti siciliani, rappresenta una puntuale e concisa messa a fuoco della sua ricerca più recente.
Abbandonate via via atmosfere dal sapore metropolitano e suggestioni cyberpunk, De Grandi insegue negli ultimi anni una compenetrazione totalizzante con la sostanza fisica e ideale del paesaggio. Eppure, a emergere non è l’idillio di una natura incontaminata, realisticamente riprodotta. La maestosa verità di una montagna, stagliata sul fondo della tela, sbuca da un cielo denso, tra corsi d’acqua e banchi di nuvole pesanti, mentre si confondono le texture acide dell’aria, della roccia, dell’erba scura. L’immagine, apparentemente una placida rappresentazione bucolica, nasconde una perturbazione sotterranea.
Il paesaggio diventa il luogo di un accadimento: un incidente percettivo, uno stravolgimento onirico, un’epifania eidetica. Spazio di realtà che la pittura ri-prende, con la sua carne e le sue ombre, per accedere all’enigma della visione cinematografica. Così è per gli alberi tormentati da rigonfiamenti corticali, che De Grandi restituisce con accurato realismo, trasformandoli al contempo in ammassi di materia crepitante. O per le due robuste radici, immerse in un pulviscolo rosa, che estremizzano un processo pittorico sospeso tra realtà e immaginazione, mimesi e sogno, rappresentazione della cosa e presentazione dell’evento puro. Oggetti quasi indecifrabili, tesi verso l’astrazione, i due corpi vegetali raggiungono un alto livello di lirismo ed essenzialità.
Sono dunque dei concretissimi frammenti di natura a sperimentare una dimensione tutta mentale, spalancata sull’infinito. Per una pittura che, in accordo con le parole di Rosario Assunto, sappia cogliere del paesaggio quel suo essere “spazio limitato” e insieme “aperto, perché a differenza degli spazi chiusi, ha sopra di sé il cielo, cioè lo spazio illimitato”. Un cielo pulsante e plumbeo, da cui lo sguardo non si stacca, fino alla fine dell’orizzonte.
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Francesco De Grandi – Paesaggi
a cura di Ida Parlavecchio
Palazzo Sant’Elia
Via Maqueda, 81 (centro storico) – 90133 Palermo
Orario: da martedì a giovedì e domenica ore 10-13 e 17-20
Ingresso: intero € 7; ridotto € 5
Catalogo Skira
Info: tel. +39 09187630898; provinciapa@libero.it; www.provincia.palermo.it
[exibart]
quando si parla di paesaggio e si va oltre ! lo si attravera superando passaggi sensoriali, disturbati da atmosfere forse passate a fondo nascoste nella memoria o ancor peggio per noi …sostando davanti a rigurgiti di catastrofici presagi di un futuro violento, silenzioso dove la natura non e’ piu madre.
e ci soffoca nel sogno!
Solitamente sono scettico su recensioni e critiche in arte e forse in generale, devo ammettere che nel tuo pezzo ho trovato una chiave di lettura utile nella tua definizione di “derive fantascientifiche” per De Grandi.
Per me “Danze” è un dipinto stupendo e innaturale come una fantascientifica visione.
Buon lavoro.
DP
Francesco De Grandi, un pittore decorativo per Piccoli collezionisti.A mio avviso sono opere veramente mediocri. Palermo avrebbe bisogno di pittori con contenuti più seri.
scommetto nicola che preferisci un’arte di spessore e più profondo…
De grandi questa mostra l’ha toppata!!! siamo sinceri… poi che non ci sono dubbi che in italia sia un maestro del genere, è fuori discussione…ma una mostra di De grandi ispirata è un altra cosa…
un pittore bravo palermitano c’è a palermo..si chiama Giuseppe Bartocci chiaramente sono io…vendo e sono fiero d’essere un “pittore della domenica”