Ragionare sul problema dell’identità implica una perlustrazione dei concetti di centro e di margine. Tra estetica del frammento, strategie evocative e ardite deambulazioni,
Lili Reynaud-Dewar (Bourdeaux, 1975) affronta la questione attuando pratiche di decontestualizzazione e rimescolamento. I suoi percorsi sfociano in rigorose messe in scena che spingono verità e finzione verso un reciproco sconfinamento. Cultura e controcultura, esperienze private e storie collettive, underground e mainstream: la vicenda dell’identità si articola in chiave sociale, filosofica, soggettiva.
L’artista, grazie a un gemellaggio tra la Galleria Civica di Siracusa e la Biennale di Berlino, ha trascorso un periodo in Sicilia prima di approdare alla manifestazione tedesca. La residenza è sfociata nella realizzazione di quattro sculture -tre destinate alla Biennale, l’altra acquisita dal Museo Regionale Palazzo Riso- e di una performance.
Le installazioni di Reynaud-Dewar accolgono sovente enigmatiche azioni sceniche, declinazioni effimere di non-storie fatte di gestualità, riti prosaici, micro-eventi ritmati in mezzo a reperti oggettuali. Alla base di
The Race c’è un testo dell’artista, riprodotto su decine di poster sparsi sul pavimento. Testo che esamina il rapporto fra controcultura e società dello spettacolo, convenzioni e cliché, affermazione dell’identità e ricerca di una via di fuga. A declamarlo sono due performer, una donna biondissima e un uomo di origini africane: materializzazioni di stridenti contrasti identitari. Dopo essersi imbrattati il viso con dei pigmenti, all’interno di minimali strutture lignee dotate di specchi, i due raggiungono un letto matrimoniale, fulcro della scena. E mentre un musicista fende lo spazio con un solo di chitarra elettrica distorta, cominciano a leggere.
Lili si racconta attraverso parole non autobiografiche, che però sollevano il problema della presenza dell’artista in un’opera: quanto c’è di me in un lavoro? Quali segnali provengono dal mio vissuto e quanti ne ho rubati alla collettività? Queste le domande che sembrano emergere, fungendo da preludio a un focus sulla storia della
freak culture, messa in relazione al movimento di liberazione dei neri. Due diverse manifestazioni della potenza rivoluzionaria dell’Altro e dell’esigenza di contestazione sociale. Citando l’assioma di Richard Hell -“
i neri sono punk”- Lili stabilisce un’ulteriore link tra due realtà marginali, sottolineando infine il rifiuto delle utopie freak da parte del nichilismo punk. “
La vita nei margini non è mai stata semplice”, conclude con ironico disincanto.
Affidandosi a performance, installazione, scultura e scrittura, Reynaud-Dewar usa le opere come elementi sintattici: un progetto espositivo diventa un sistema di segni eterogenei con cui precipitare solidi epicentri intellettuali verso derive immaginative, processuali. Così, se il letto riprende uno dei
Dream beds degli
Archizoom, a indicare un collegamento con le utopie degli anni ‘60 e con l’architettura radicale, la solidità della parola-pensiero si affida all’evanescenza propria di uno show, rappresentazione che strizza l’occhio ai meccanismi dell’entertainment.
Procede così l’artista, per frammenti, citazioni e associazioni ambigue, incrociando il rigore delle sue strutture formali con un magma teorico articolato. Il senso di mistero che scaturisce da oggetti, azioni e contesti ha qualcosa di velatamente dissacrante. “
La soluzione del problema dell’identità è: perditi”, scriveva Norman O. Brown nel 1966. Una perdita che inaugura l’accesso all’alterità, ma che non evita lo smacco della consuetudine sociale. E il gioco prosegue, nell’infinita dinamica fra potere e ribellione, margine e centro, purezza e artificio.
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L'arte non si fa con le elucubrazioni cervellotiche; questa non è arte, è mistificazione dell'arte, propria di chi non sa "fare" la vera arte, di chi non sa dipingere o fare scultura. Credete davvero che l'umanità sia cambiata al punto da corrispondere a cose così fuori della realta? "Un progetto istituzionale che collega centro e periferia dell'art sistem"? ... "rimescolando frammenti di identità perdute e rimescolate"... ma per favore ... in quanti vi capite? Può darsi che io sia un ignorante tuttavia concepisco l'arte come dev'essere concepita: comunicazione simbolica, il resto è un'altra cosa, potrà anche essere rispettabile ma è una cosa diversa dalla comunicazione artistica.