Sono passati già vent’anni dalla retrospettiva che, contestualmente all’avvio del processo di riformulazione dei giudizi sul Futurismo, fu dedicata in quel di Gibellina a Vittorio Corona. Riportato all’attenzione della critica nazionale già nel 1978 da Enrico Crispolti, il pittore è oggi di nuovo al centro di una piccola rassegna che si pone sull’orizzonte del rinnovato interesse per i percorsi dell’arte in Sicilia fra le due guerre.
La mostra di opere non futuriste inedite, provenienti dalla collezione degli eredi del pittore, offre un ritratto di Corona inaspettato: nuovo anche rispetto a quello già aggiornato sulla base degli indirizzi neoprimitivi vicini a Carrà e antinovecentisti perseguiti nei primissimi anni ‘30.
Insieme a vari acquerelli, che s’allineano ad opere su carta altresì note, un congruo numero di oli e tempere copre un arco d’anni compreso tra il 1929 e i primi anni ‘50. Sono tele dipinte per istinto vitale durante anni di lontananza dai grandi circuiti e di isolamento tra le province calabra e piemontese, ma nonostante ciò aggiornate al panorama artistico internazionale.
Improntati ad un vigoroso realismo espressionista, spiccano i mezzibusti di Autoritratto con moglie (1944), presentati come Ecce Homo, laici sotto la luce contundente di una lampadina: “citazione da Guernica –scrive Troisi in catalogo– che trasporta all’interno di una stanza, nel tempo concreto dell’esistenza, le lacerazioni della storia”. Mentre un gruppo di tele dalla sintassi neocubista, unite dalla predilezione per una forma costruita, statica nell’impianto, ma ricca di fermenti nel trattamento pittorico à plat, vede ancora la moglie Gigia sprofondare in pose dolenti e sonnolente.
L’impaginazione aggettante dell’Autoritratto con moglie e figli (1948) sposta all’esterno il focus della tensione esistenziale che satura il dipinto. È questa l’opera che testimonia maggiormente la riflessione di Corona sulla propria condizione d’artista: ricusata con sofferenza in cambio dell’amara certezza di uno stipendio da insegnante, di fronte alla necessità di mantenere ben sei figli. Ma secondo Lacagnina è il grande bozzetto per un’ignota Gigantomachia, inaspettatamente saltato fuori da un angolo di casa Corona, a fissare simbolicamente il crollo dell’antica ambizione di “vivere d’arte per l’arte” sotto il peso del presente antieroico. Viene così restituito il temperamento disincantato ma tenace dell’artista che, durante gli ultimi dieci anni di vita, volle ricostruire a posteriori la propria produzione futurista, perduta sotto le bombe del ‘43, e ricucì insieme i pezzi del puzzle esistenziale della propria storia sulle pagine di un diario intimo, alcuni brani del quale appaiono per la prima volta nel catalogo di questa mostra.
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vincenzo ferraro
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Ebbravo. Li ho letti tutti...o quasi.