Conferma l’alto profilo della sua proposta espositiva l’Ente Mostra di Pittura Contemporanea “Città di Marsala”. Dopo gli approfondimenti delle ultime due stagioni, dedicati rispettivamente al collettivo “Il pro e il contro” (2003) e a René Paresce e gli Italiens de Paris (2004), presenta un’esposizione che esplora la pittura italiana d’interni nel Novecento. Un tema particolarmente felice, che attraversa il secolo in maniera significativa, sia come traccia di un’identità più intima dell’artista, sia come esigenza di definizione di un sistema di valori in cui la pittura trova finalmente una sua autentica dimensione d’ordine e rispecchiamento.
Non a caso la mostra prende le mosse dalla pittura degli anni Venti; da autori come Carrà, Casorati, Donghi, Marussig, Oppi e Trombadori che di quell’atmosfera di sospensione e di mistero hanno fatto la loro cifra poetica più intensa. Nei loro lavori le ombre si allungano inquietanti e minacciose sullo scacchiere di una prospettiva claustrofobica che diventa proiezione dello stato d’animo. Gli interni sono rappresentati come gabbie di piani ortogonali entro le cui maglie rimettere la complessità delle esperienze, per provare a restituire loro un significato. Qui la pittura è medium, tramite privilegiato di ogni riflessione compiuta sulla condizione contemporanea.
La lezione dei primitivi italiani è un dato di fatto ormai acquisito dai pittori di “Novecento” che traghettano l’algido immobilismo di un maestro come Piero della Francesca verso il nitore abbacinante di una ripresa iper-realista.
Una visione immensamente carica di quel super-strato di complicazioni teoriche e metafisiche che costituiscono ancora oggi il tratto più moderno e affascinante di quella stagione culturale. È così ad esempio nelle bellissime tavole di Cagnaccio di San Pietro, Allo Specchio (1927) e Ritratto della signora Vaghi (1930-36), dal segno analitico e precisionista, tagliente quasi nella sua evidenza oggettuale.
La carica sottilmente eversiva che in questi testi pure si manifestava, anche se in controluce, nell’economia di un discorso che a torto è stato spesso indicato come una parentesi nelle avanguardie storiche, diviene scoperta rottura nelle opere in mostra degli anni Trenta e Quaranta. La pittura di Pirandello, Mafai, Cagli, Guttuso, Birolli, Menzio e de Pisis spezza l’unità lenticolare della visione fin lì praticata e appare ora, come in uno specchio deforme, frammentata in mille rivoli di materia violentemente stesa sulla tela e prossima ormai alle lacerazioni dell’imminente secondo conflitto mondiale.
Sono gli spettri del dramma collettivo a fare allora da capolinea nella pittura del dopoguerra, in Banchieri e Ceretti ad esempio, fino all’irruzione nello spazio del quotidiano della moderna tecnologia e della conseguente iconografia di massa.
Guccione, Vespignani, Ferroni, Romagnoni, Sughi e Cazzaniga e poi Mambor, Marchegiani e Adami si fanno interpreti di una società polarizzata sulle due dimensioni del vedere e dell’essere visti. Le stanze, come scatole di tv-color, sono teatrini vuoti in cui si consuma l’irreversibile disintegrazione di situazioni, cose e persone.
davide lacagnina
mostra visitata il 10 luglio 2005
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Una nuovo, gustoso articolo del Lacagnina per una mostra di alta qualità. Il connubio è esemplare. Complimenti per la scelta iconografica.