L’impatto è suggestivo, non c’è che dire. Scenograficamente perfetto. Palazzo Belmonte Riso è uno dei luoghi più belli di Palermo, uno splendido edificio neoclassico, andato in rovina dopo la guerra e ristrutturato pochi anni fa. Velasco (1960, Bellano – Co) -uno degli esponenti di quell’Officina milanese che negli anni novanta puntò sul ritorno alla figurazione- non avrebbe potuto desiderare di meglio per inscenare il suo omaggio all’amata Sicilia.
L’atmosfera è quella di un allestimento teatrale. Le luci, gli angoli in penombra, il cortile e i portici, il giardino intorno, la ampie stanze, le mura consunte dell’ultimo piano non ancora restaurato… Come piombare in un’altra dimensione.
Quindici opere, alcune tra le più grandi mai realizzate dall’artista, costituiscono il corpus dedicato all’isola, generato da una passione intensa per la sua luce, i suoi paesaggi urbani, vitali e polverosi, i suoi scorci diroccati, le distese azzurre, le serre, i cieli cupi o assolati… Le città siciliane prendono corpo in una pittura calda, grumosa, materica, consapevolmente retorica: le strade brulicanti, soffocate di voci, odori, volti genuini e sguaiati; certe piazze silenziose, bagnate da una luce chiara, quasi metafisica; gli androni scuri come la cenere del vulcano, le pareti di nera pietra lavica; i moderni agglomerati urbani, acciaio, cemento, asfalto mischiati con la storia di una terra antica; i vecchi palazzi nobiliari, corrosi dall’incuria, le case sventrate dalle bombe.
Un branco di cani, ossuti e malconci – gracili sculture in ferro – completano lo scenario, evocando uno dei clichè legati alle città del sud: bestie randagie tra vicoli sporchi e bui, presenze inquietanti su sfondi pittoreschi, familiari.
Appropriarsi di stralci di realtà sgretolandone i contorni e le forme, con una gestualità irruenta, corrosiva, passionale. Grande abilità esecutiva, eccellenti doti di disegnatore (come non mancò di sottolineare Testori), capacità di gestire superfici vaste, costruendo prospettive mobili, che a distanza definiscono vedute a perdita d’occhio, e da vicino si trasformano in micropaesaggi di materia fervida, accesa. Un genere facilmente riconducibile alla tradizione informale. Pittura per la pittura, e per il gusto di questa. Esercizio di stile, si potrebbe perfino dire. Mestiere, maniera dunque?
Rimane la bellezza di queste grandi tele, sovrastanti, e di questo dono di un uomo del nord a una terra che lo ha stregato, ispirato, chiamato a sé. Resta la bellezza, e non è poco. Ma forse, continuiamo a ripeterci, non è abbastanza.
helga marsala
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" quando il suono di un mantra entra nel tuo udito, senti che questa vibrazione trascendentale sveglia una gran felicità nel tuo cuore. Cos'è una mente? è la più grande ingiustizia del creatore. Io ho bisogno di milioni e milioni di menti! Se posso meditare nel dolce mantra, la mia mente sente soddisfazione e io desidero avere milioni e milioni di menti per meditare nel dolce suono della mia vita".
( La Via dell’armonia)
Velasco, sei il suono di un Mantra.