È la nuova sede dell’Istituto Cervantes di Palermo, splendida location di impianto gotico-iberico situata nell’antico dedalo della Vucciria. La Chiesa di Sant’Eulalia, edificata nel suo primo nucleo nel 1530, era il luogo sacro ufficiale della comunità catalana, sbarcata in Sicilia a partire dal Medioevo e dedita ad attività mercantili: lo storico mercato fungeva da quartier generale per la gestione di affari e scambi commerciali. La Chiesa, a tutt’oggi, costituisce un’enclave spagnola. Di proprietà dell’Opera Pia Stabilimenti Spagnoli in Italia, è stata offerta in comodato d’uso al Comune di Palermo e destinata, dopo decenni di abbandono, ad iniziative culturali.
A giugno 2006, terminato il lungo restauro finanziato coi fondi della comunità europea, lo spazio -che aveva ospitato nel ’98 un’importante personale del catalano Miquel Barcelò, di cui resta testimonianza in un affresco realizzato in situ- riapre finalmente i battenti. Da adesso, sarà il noto Istituto di Cultura ad occuparsi della gestione di questo prezioso complesso architettonico, impiantando qui le sue attività didattiche ed artistiche coordinate dal direttore Miguel Spottorno Robles, fresco di nomina. Nasce così un nuovo polo culturale panormita, assolutamente strategico per ripercorrere e rinvigorire una storia di contaminazioni visive, culturali, geografiche tra la Spagna e la Sicilia, teatri gemelli legati a filo doppio da profonde radici comuni, secoli di incontri e scontri, affinità elettive e divergenze.
L’opening è affidato alla mostra Scenografie simulate. Diciassette artisti, spagnoli d’origine o d’adozione, sono chiamati a rappresentare una buona fetta della produzione artistica contemporanea maturata in territorio iberico negli ultimi vent’anni. Le opere provengono dalla grande collezione della Cassa di risparmio di Burgos che, insieme d altri musei ed istituzioni, collabora con il Cervantes nel progetto di promozione dell’arte contemporanea spagnola nel mondo. Al centro della scena si ergono le due Hermanas españolas di Victoria Civera,
Da qui, muovendosi tutt’intorno attraverso le cappelle laterali, si scova il corpus espositivo, suddiviso con equilibrio nello spazio. Un allestimento che, purtroppo, penalizza non poche opere, relegate spesso in punti marginali e inghiottite dal volume austero e sontuoso dell’architettura.
L’incantevole Hotel Parìs di Jaume Plensa congela la scrittura del poeta catalano Vincent Andrés Estellès in un abitacolo di resina trasparente. Le torri-poema, più volte costruite dall’artista in omaggio ai capolavori della letteratura mondiale, si ispirano a un episodio del Gargantua e Pantagruel di Rabelais, storia di un luogo magico in cui “… le parole si raffreddavano al contatto con l’aria gelida, poi si scioglievano con le belle giornate e infine si lasciavano comprendere…”. Come un grande blocco di ghiaccio illuminato, l’opera di Plensa materializza il corpo del racconto realizzando una trasposizione solida e cristallina della parola scritta divenuta memoria, volume plastico, presenza.
Situate sull’altare principale, in perfetta armonia tra loro e con lo spazio, sono i bellissimi Hard Boiled di Walter Martin y Paloma Muñoz e il Senza Titolo di Eva Lootz. Il primo è un albero spoglio color zaffiro, sul cui tronco sinuoso è innestato un rubinetto in ottone. Da qui sono sgorgate, per magia, piccole bianchissime uova, testimoni di una natura surreale e fiabesca. Accanto, il baule-clessidra metallico di Lootz gioca coi contrasti di pieno e vuoto, pesantezza e levità, stasi e scorrimento, lasciando fuoriuscire una scia di sabbia dall’angolo sberciato.
Diverse le opere di impianto formalista che cercano relazioni forti con la luce e lo spazio, dal Dipòsit d’Ombra n° 13 di Susana Solano -minimale scultura poggiata al suolo che racchiude in un morbido geometrismo la forza del ferro grezzo-, fino a Eix di Sergio Aguilar, struttura di aste tubolari di alluminio giocata sul trompe l’oeil di un (apparente) equilibrio precario. Tristemente sacrificato risulta il Campo Magnetico di
Ironia e concettualismo, infine, nella scala inagibile di Nacho Criado, rady made modificato a cui sono stati sottratti alcuni pioli, o nel narciso “cieco” di Concha Garcia, sorta di bozzolo specchiante intento a rimirarsi invano, con incredibile effetto ottico, nello specchio di fronte. Completano la rassegna opere di Adolfo Schlosser, Marina Nuñez, Francisco Leiro, Fernando Sinaga, Juan Muñoz, Alberto Bañuelos e un prezioso olio di Barcelò dell’85, Bibliothèque avec bougie. Una selezione eterogenea ma coerente di un’importante collezione, nonché un ottimo incipit per la nuova avventura palermitana del Cervantes, accolto in questo incantevole scorcio di Spagna nel cuore della Vucciria.
helga marsala
mostra visitata il 20 luglio 2006
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(le parole si raffreddavano al contatto con l’aria gelida, poi si scioglievano con le belle giornate e infine si lasciavano comprendere...”. Come un grande blocco di ghiaccio illuminato, l’opera di Plensa materializza il corpo del racconto realizzando una trasposizione solida e cristallina della parola scritta divenuta memoria, volume plastico, presenza...)
Ben congeniata iniziativa. Complimenti!